Tifoso dell'Inter e Premier incaricato per pochi giorni, Carlo Cottarelli, intervistato da La Gazzetta dello Sport, ha detto la sua sul caso Icardi e sul futuro dei nerazzurri:
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Cottarelli: “Icardi, no alla Juve. Spalletti? Fosse arrivato prima, l’Inter avrebbe già vinto”
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Per il bene dell’Inter, Icardi deve restare?
«Non sono particolarmente innamorato di lui, ma direi di sì. Certamente, mai alla Juve».
Lei è un interista anti-juventino?
«Le potrei rispondere con la famosa battuta dell’avvocato Prisco che corre a contarsi le dita dopo aver stretto la mano a... Vabbé, lasciamo perdere, non mi piace che lo sfottò diventi volgarità. Agli juventini dico solo che una società che ha vinto tanto deve anche accettare di essere contestata ogni tanto».
Ma perché vince sempre la Juventus?
«Io mi farei un’altra domanda: perché in Europa da anni vincono sempre le solite note?».
Ce lo dica lei...
«Perché c’è il fair play finanziario. Ci faccia caso, da quando la Uefa lo ha introdotto, vincono solo le più ricche, che si sono ulteriormente rafforzate. Mentre le meno ricche non hanno colmato il gap, anzi lo hanno aumentato».
Lo dice perché l’Inter deve incassare circa 40 milioni entro la fine del mese per rientrare nel fair play Uefa?
«Lo dico perché dopo anni ancora non riesco a capire il meccanismo per cui talune società possono fare le operazioni che vogliono, mentre altre devono pareggiare entrate e uscite».
A proposito, cosa manca all’Inter per fare il salto di qualità?
«Un centrocampo forte. Con tutto il rispetto, se prendi Borja Valero e Vecino dalla Fiorentina, non puoi pensare di lottare per lo scudetto. Con uno come Strootman, magari sì».
Ha più fiducia nell’allenatore o nella proprietà?
«Senza dubbio in Luciano Spalletti. Un tecnico preparato e intelligente. Se fosse arrivato un paio di stagioni prima, avremmo già vinto qualcosa».
I cinesi non la convincono?
«Ho il massimo rispetto per quello che sta facendo Zhang, ma in generale non mi affascinano le proprietà straniere».
Detto da uno come lei...
«Lo so, è una visione romantica e forse anacronistica, ma io dopo aver avuto i Moratti vorrei un azionariato diffuso di grandi interisti. Sarei il primo a dare il mio contributo. Non si diventa dell’Inter se si compra l’Inter, non è automatico».
Siamo alla diversità dell’interismo?
«Sì, siamo orgogliosamente diversi. Innanzitutto, non siamo mai andati in Serie B».
La Juve, ci risiamo...
«Ma no, cosa devo dirle? La storia per me inizia nel 1961, lo scudetto della Caf. Vuole sapere dell’ultimo Inter-Juve? L’ho visto in una pizzeria di Londra con moglie e figlia e quando hanno espulso Vecino me ne sono andato imbufalito».
Si è perso il meglio...
«Più che altro, ho fatto arrabbiare moglie e figlia».
La sua Inter ideale?
«Recito a memoria: Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Domenghini, Suarez, Corso. Indelebile».
Facile tifare per l’Inter negli anni Sessanta...
«Ma io la scelsi prima che vincesse lo scudetto nel 1963. Andavo alle elementari e fino ad allora tenevo per la Cremonese, la squadra della mia città. Poi, un giorno, mi chiesero per quale squadra tifassi e a bruciapelo risposi l’Inter. Forse sentivo che di lì a poco sarebbe diventata Grande».
I momenti indimenticabili della sua carriera di interista sono tutti belli?
«No, purtroppo mi hanno segnato anche la papera di Sarti a Mantova nel 1967 e ovviamente il 5 maggio 2002. Ero all’Olimpico, non c’è bisogno di aggiungere altro».
Scelga cinque grandi giocatori che le sono rimasti nel cuore.
«Non facile. Al primo posto Corso, un mito vero. Il suo calcio era poesia. Poi Facchetti, quando è morto ho pianto come un bambino. Rummenigge, era davvero un’ira di Dio. Nel corso degli anni mi sono affezionato a Bergomi e Zenga. Devo arrivare a sei, non posso tenere fuori Cambiasso: è stato ingiusto e prematuro lasciarlo andar via dall’Inter».
Lei cosa si augura?
«Che vinca l’Inter».
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