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Crosetti: “Si fermi anche il calcio, giocare è segno di irrealtà: gli addetti alle partite…”

Redazione1908

Il pensiero del giornalista di Repubblica sul calcio che (non) si ferma

"Mentre si dà l'assalto ai treni per fuggire dalle zone rosse, mentre malati e moribondi vengono spostati da un ospedale all'altro, da una regione all'altra perché mancano i posti in rianimazione, mentre ci si ammala sempre di più e sempre di più, purtroppo, si muore, la Serie A ricomincia a giocare come se niente fosse. Quello che potrebbe sembrare, e forse anche essere, un segnale di speranza e resistenza umana rischia di diventare un tremendo segno di irresponsabilità, di irrealtà. Anche se oggi le porte degli stadi resteranno chiuse, ugualmente si sposteranno centinaia di persone, non spettatori ma addetti alle partite, e per addetti intendiamo tutti, da Cristiano Ronaldo al magazziniere. Un movimento di massa che va esattamente nella direzione opposta rispetto alle direttive sanitarie mondiali". È questo il pensiero di Maurizio Crosetti, giornalista di Repubblica, a proposito delle partite che si giocheranno oggi.

Il timore: "E' statisticamente impossibile che nessun atleta di serie A, com'è accaduto alla Pianese o allo stesso patron del Novara Calcio adesso, risulti prima o poi positivo al coronavirus. Altri sport più lucidi, più a contatto con la realtà o soltanto meno prigionieri di una logica commerciale che muove milioni di euro, hanno già deciso di fermarsi. Quasi certamente nelle prossime ore o nei prossimi giorni, anche il grande calcio seguirà la stessa strada. Non farlo espone anche a rischi collaterali che possono rivelarsi fatali: la gente che si ammassa nei bar e nei pub per guardare le partite, i tifosi scriteriati che vanno in pellegrinaggio ai centri di allenamento per esporre i loro striscioni, come hanno fatto alcuni ultras dell'Inter. Tutto questo va bloccato al più presto. Mentre prosegue la triste conta dei morti è l'ora che lo sport, tutto, specialmente il più ricco, capisca che si può fare meno di lui per qualche tempo. E che non farlo metterà a rischio la vita di tantissima gente."

(Repubblica)