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D’Ambrosio: “Userò i social network per fini sociali. La mia famiglia…”

Ha fatto notizia, in positivo ovviamente, l’iniziativa lanciata da Danilo D’Ambrosio appena sbarcato su Twitter: cinquanta centesimi per ogni follower donati ad un’associazione che si occupata dell’inserimento dei giovani...

Daniele Mari

Ha fatto notizia, in positivo ovviamente, l'iniziativa lanciata da Danilo D'Ambrosio appena sbarcato su Twitter: cinquanta centesimi per ogni follower donati ad un'associazione che si occupata dell'inserimento dei giovani al lavoro. Il terzino ne ha parlato al Corriere del Mezzogiorno

Iniziativa quasi unica nel suo mondo.

«Ho già una pagina Facebook, ma non ho un buon rapporto con i social media. Ho sempre pensato che andassero utilizzati per cause veramente sociali. Il lavoro è un problema per tanti ragazzi del Sud e non solo, ho pensato di sfruttare la mia popolarità di calciatore per raccogliere un po' di soldini e aiutare i giovani meno fortunati di me».

In un giorno più di quindicimila follower, andrà avanti a oltranza?

«Appena la cifra raggiunta sarà sufficiente, avvierò un'altra iniziativa benefica. Penso ad una Onlus, ad associazioni per bambini. Con la mia fidanzata siamo impegnati molto su questo fronte. La settimana scorsa abbiamo visitato una casa famiglia di Crispano. Vedere quei bambini dal volto pulito e sorridente comunque ci ha fatto dolore. Noi, ripeto, siamo privilegiati ed è giusto occuparci dei più deboli».

Lo sente come dovere morale?

«No, un piacere autentico. Twitter per me è solo un mezzo per aiutare chi ha necessità. Se il mio profilo fosse stato aperto col mio nome, Danilo, in pochi mi avrebbero seguito. Il fatto di essere D'Ambrosio il calciatore cambia tutto».

È nato a Caivano, ha giocato nella Salernitana poi a Firenze, Torino e Milano. Dal Sud difficile e precario al Nord produttivo e organizzato. Percepisce le differenze?

«Non è una questione tra Nord e Sud e da meridionale, soprattutto, non mi piace piangermi addosso. Credo che il problema lavoro sia sentito in ogni grande città, nelle province invece si fa meno fatica».

In che senso?

«Nei piccoli centri c'è maggiore organizzazione e soprattutto maggiore attenzione da parte delle istituzioni».

È nato a Caivano, cuore della Terra dei fuochi. La sua famiglia vive ancora lì.

«Quando ero al Torino ero capitano e a dicembre scorso proprio in occasione di Torino-Inter sulla fascia feci scrivere: Caivano non deve morire. Sfruttai la mia immagine per sensibilizzare l'opinione pubblica. Mio padre ha una pizzeria a Caivano dal 1989, viviamo il problema direttamente. Ma quei rifiuti bruciati non provenivano solo dalle nostre terre. Li c'è paura, c'è crisi ma in tutta Italia ci sono i prodotti campani. Il problema è di tutti».

Torniamo al suo progetto social: occupazione per i ragazzi, un problema che avrebbe avuto anche lei se non avesse fatto il calciatore?

«Ho una famiglia alle spalle, mio padre in pizzeria e mamma che insegna all'asilo. Avrei sicuramente avuto un portafogli meno pieno ma avrei studiato o comunque lavorato con papà. Ripeto, oggi sono un ragazzo privilegiato, ma i miei valori e i miei principi non sono cambiati».