Sul Giornale di oggi Damascelli parla della guerra sul mercato, e psicologica, degli ex amici e collaboratori Paratici e Marotta, una sorta di Red e Toby moderno in chiave calcistica:
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Damascelli – Marotta e Paratici: prima amici, ora nemici. Lukaku è solo un piccolo fuoco in…
Il giornalista parla della guerra fra i due dirigenti di Inter e Juve, un tempo amici e collaboratori
"Tipo Montezemolo-Marchionne. O, meglio, Letta-Renzi. C'è un prima e un dopo, quando di mezzo, oltre all'amicizia, interviene il lavoro. Marotta e Paratici sono cognomi e non più, soltanto due nomi, Beppe e Fabio, amici diversi, uniti dalla Sampdoria e dalla Juventus. Fine di una storia, inizio di una cronaca, dallo zucchero al sale, al pepe a spezie maligne che pizzicano la lingua e infiammano la gola," esordisce il giornalista nel suo pezzo.
A inasprire gli animi non è solo la rivalità antica e vera fra Inter e Juventus ma anche il fatto l'attuale ad sportivo dell'Inter abbia lasciato la società bianconera lo scorso autunno non proprio in modi amichevoli, dopo anni di collaborazione, ma anche amicizia, col collega Paratici:
"Inter e Juventus sono già nemiche a prescindere, alla battaglia storica si sono aggiunti i nuovi arrivi nerazzuri dalla real casa bianconera, Marotta, per l'appunto, Conte a seguire. Già in passato si erano segnalati traslochi eccellenti ma stavolta c'è dell'altro, c'è di più, c'è un ex amministratore delagato liquidato nello spazio di un'estate-autunno come un capo fuori moda, dall'altra un nuovo responsabile dirigente, suo ex sodale, che ha assunto vesti importanti in aggiunta a quelle già assodate. E così quella che era una affinità di intenti e di progetti è diventata una sfida, un duello a luci spente, una lotta per dimostrare di essere uno più astuto e bravo dell'altro".
Damascelli fa poi un ritratto dell'attuale dirigente nerazzurro:
"Marotta è professionista alto, di esperienza e di astuzia diplomatica, sa allenare l'ambiente e la stampa, è solido e respinge, come un muro di gomma, qualunque attacco anche vile o volgare, siano gli insulti di Lotito o le mezze frasi di De Laurentiis. Non è, il varesino di nascita, un uomo di campo, non è stato lui e non è ancora lui a scovare i migliori fichi del bigoncio, si circonda di collaboratori fini e porta a termine il lavoro come farebbe un notaio austero".
Si passa poi a un ritratto in toni quasi aulici del dirigente bianconero:
"Paratici è il miglior talent scout d'Italia, lavora venticinque ore al giorno svegliandosi sessanta minuti prima, sta sul pezzo fino ad essere esausto, difficile che sbagli una valutazione, non si fa prendere dal tifo o dalla passione, per questo o quel calciatore, questo o quell'allenatore, ha, ad esempio, patito l'esonero di Allegri, al quale era legato da affetto e amicizia, ma, al tempo stesso, aveva capito che fosse arrivato il tempo della separazione. Rispetto a Marotta non ha l'arte della seduzione dialettica, la sua diplomazia meglio si realizza con gli interlocutori di mercato, non accarezza i giornalisti e non concede interviste oceaniche per nulla dire e comunque per rispondere alle attese dei media, cosa che, invece, Marotta sa fare benissimo, essendo figlio di una carriera che è passata dal pane duro di Varese alle brioche con tartufo bianco di Torino e Milano.
Qualcosa però si è rotto: la coppia è scoppiata, forse a causa di Andrea Agnelli, e secondo Damascelli quello che sta succedendo sul fronte Lukaku è solo una battaglia in una guerra più grande:
"La coppia ha retto bene per il tempo utile e necessario a costruire la Sampdoria di Garrone e la Juventus di Andrea Agnelli il quale, a un certo punto dell'avventura, ha disfatto la coppia di fatto, scegliendo la strada del ringiovanimento ( !?) però creando un vuoto politico alle spalle dello stesso Paratici che deve svolgere anche la funzione chera del suo ex collega e amico o conoscente.
"La disfida su Lukaku è soltanto un piccolo fuoco di artificio nel vulcano di rabbia e vendette o riscatti che scalda entrambi. Due cognomi e basta, due rivali e basta. È soltanto l'inizio di una partita che non vede il fischio finale".
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