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Lunga intervista concessa dall'allenatore del Parma Roberto D'Aversa a La Gazzetta dello Sport. Il tecnico dei ducali ha parlato inevitabilmente del Coronavirusche sta cambiando il modo di vivere di ognuno di noi.
Da dove si riparte?
«Dal pallone, lo strumento che fa divertire tutti. Ci si deve sedere attorno a un tavolo, parlo dei massimi dirigenti italiani, europei e mondiali, e in fretta si deve scegliere la strategia. Mi auguro che lo Stato dia una mano, se è possibile, a tutto il sistema-calcio. Ma adesso, in questo preciso momento, se mi chiede quale intervento ho in mente, sinceramente non riesco a pensarci».
Perché non ce l’ha o perché ha altro per la testa?
«Perché non riesco a non pensare che ora, mentre stiamo parlando, qualcuno sta morendo per il virus. Qui si sta azzerando una generazione, quella degli anziani, dei nonni, che con la loro esperienza ci hanno insegnato a vivere. Non possiamo permetterci una simile tragedia. Lo dico con dolore: io, al calcio, adesso non riesco proprio a pensarci. Mi interessa soltanto la salute. Dei miei cari, delle persone che conosco, degli altri».
Ha paura?
«Normale, quando vedi certe immagini in televisione, rimanere colpiti. La fila dei camion militari che trasportano le bare a Bergamo non me la dimenticherò più. Un mio giocatore, Alberto Grassi, ha perso il nonno. Il segno del dolore resterà a lungo, bisognerà imparare a conviverci».
Come ha raccontato ai figli la vita al tempo del coronavirus?
«Ho tre figli. I due maschi Simone e Francesco, che sono più grandi, hanno intuito subito: non andavano a scuola, la perdita della normalità l’hanno percepita così. La piccola Sofia vive questo periodo con l’incoscienza dei 4 anni. Mi ha commosso quando mi ha mandato un disegno dove c’era scritto “Quando arrivi, papà?”. La famiglia è come le radici della quercia: ti tiene saldo a terra».
Taglio degli stipendi ai calciatori. E’ d’accordo?
«Penso che si debba parlare, si debba cercare un compromesso tra tutti. Io penso che già adesso c’è gente che ha difficoltà a fare la spesa: ognuno deve giocare il proprio ruolo».
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