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De Biasi: “I calciatori non sono eroi greci. I tecnici dovranno stemperare le paure post pandemia”

Intervistato dal Corriere dello Sport, l'ex ct dell'Albania Gianni De Biasi ha parlato del compito dei tecnici dopo la ripresa

Andrea Della Sala

Intervistato dal Corriere dello Sport, l'ex ct dell'Albania Gianni De Biasi ha parlato del compito dei tecnici dopo la ripresa post emergenza Coronavirus:

«Alleggerire. Questo a mio parere deve essere il compito dell’allenatore di fronte ad un gruppo di ragazzi reduce da due mesi e passa di pandemia, tra angosce, ansie e paure che inevitabilmente hanno lasciato una traccia in ognuno di noi. Alleggerire la pressione psicologica, alleggerire i carichi di lavoro, alleggerire la quotidianità. Ritrovare un senso giocoso del calcio alleggerendo un po’ tutto».

Quale sarà il problema principale da affrontare con i calciatori?

«Lo stress psicologico. Veniamo da un periodo in cui diffidiamo di tutti, abbiamo evitato per settimane le persone per paura del contagio, ci siamo appartati. Riscoprire la collettività, ritrovare uno spazio condiviso: i miei colleghi allenatori dovranno essere bravi a ricostruire un ambiente, prima ancora di lavorare sulle varie personalità».

Cosa portano con loro i calciatori quando vanno al campo?

«In questo momento un misto di sollievo e ansia, un’incertezza che non gli dà tregua. Ma è tutto normale e risolvibile. Dipende anche dal contesto geografico in cui hanno vissuto questi mesi. Credo per esempio che i giocatori di Atalanta e Brescia - per tutto il dolore che ha attraversato le loro città - avranno un peso psicologico superiore da sopportare rispetto ad altri colleghi».

L’allenatore avrà a che fare con giocatori diversi da prima. Come dovrà rapportarsi?

«Anche l’allenatore, però, arriverà al campo con la fatica di questi mesi; quindi ognuno scoprirà nell’altro le stesse paure ma anche la stessa fiducia. Quando parliamo dei calciatori ce li raffiguriamo come degli eroi greci, invece questa pandemia ha fatto venire fuori la fragilità che c’è in ognuno di loro. E non è un male, niente affatto. E’ una consapevolezza maggiore di se stessi, si va più in profondità. E poi al calciatore, per sapersi fortunato, basta porsi una domanda: chi c’è al mondo che ha trasformato il gioco che giocava da ragazzo in un lavoro? Nessuno».

In effetti: nessuno. L’allenatore avrà tempo per prepararli a questo campionato compresso?

«Sì, il tempo c’è. In 2-3 settimane un atleta si può ricondizionare, ma intanto si può cominciare a giocare. Non saranno al top della forma, ma questo lo dobbiamo accettare. Parliamo di ragazzi giovani e sani, che hanno voglia di giocare e tornare a fare il loro mestiere. La Germania sta dimostrando che una ripresa è possibile. E non sono fenomeni, sono persone come noi che stanno provando a gestire una situazione nuova».

I ritiri, le partite con le temperature elevate da giocare ogni 3-4 giorni, i tamponi. Tutte situazioni nuove. Sarà difficile gestirle?

«Posso dirtelo? Sono pippe mentali. I sacrifici veri sono altri, lo sanno anche loro. Poi per posa dicono che andare in ritiro gli pesa, ma non credo sia sempre vero. Sono ragazzi tra i 20 e i 32-33 anni che stanno insieme, si allenano, giocano alla playstation, guardano la tivù, scherzano. C’è di peggio, no? Basta guardarsi intorno e avere la percezione della realtà».

De Biasi, che ne pensa delle possibilità di fare le cinque sostituzioni?

«Idea valida, sarà un vantaggio per tutti. L’allenatore avrà più possibilità di scelta. E magari eviterà anche qualche infortunio ai ragazzi».