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Della finale di Champions tra i Manchester City e l'Inter ha parlato il giornalista Alessandro De Calò sulle pagine de La Gazzetta dello Sport.
"Tutta la bilancia della sfida di Istanbul pende dalla parte di Guardiola. Il valore dei club, la quantità dei milioni investiti, la media delle retribuzioni dei giocatori, i profili individuali, la qualità del gioco spalmato in campo e chissà quanti altri algoritmi. Ma se c’è una cosa che costringe il Manchester City a guardare l’Inter dal basso verso l’alto, questa cosa è la storia. Ha un significato e persino un certo peso. Il City ha giocato la sua prima finale due anni fa, e l’ha persa contro il Chelsea (0-1) nello stadio del Porto.
I nerazzurri ne hanno vinte tre di finali, ognuna ha avuto contorni, risvolti e conseguenze differenti. Mi sembra che quella di stasera abbia qualche similitudine con la finale del 1972 a Rotterdam. L’Inter aveva perso 2-0 contro l’Ajax che allora era la squadra più forte del mondo, ma c’è una differenza fondamentale. In quell’Ajax giocava Johan Cruijff – e non a caso aveva segnato la doppietta decisiva – mentre nel City adesso ci sono diversi campioni, a cominciare dal bomber Haaland, ma nessuno all’altezza del maestro olandese. Lele Oriali – consacrato da Ligabue con l’inno alla vita da mediano – ricorda ancora quella notte come un incubo.
L’Inter del 1972, arrivata quinta in campionato, era una squadra stanca e a fine ciclo. Questa, di Simone Inzaghi, ha attraversato una stagione a due o tre velocità, con alcuni punti di svolta decisivi. Il doppio confronto col Barça nella prima fase di Champions le aveva dato una nuova dimensione. La vittoria nella semifinale di Coppa Italia con la Juve ha messo le ali a una squadra finalmente compatta. Il resto passa per il dominio dei derby e il totale riscatto di Inzaghi. Abbiamo visto contro il Real che il City, come quel vecchio Ajax, è quasi inarrivabile. Ma l’Inter è una squadra in fiducia, sta bene e nelle partite secche di solito non sbaglia. Tutto le gioca contro, eppure niente le impedisce di essere all’altezza della sua storia".
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