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Però ci guardavamo, ci studiavamo, forse ci cercavamo anche, già da ragazzini».
Dica la verità. Ma lei e Del Piero, così simili, così talentuosi, spesso in ballo per lo stesso posto in Nazionale, non siete mai stati rivali?
«Rivalità? Forse, all’inizio. Lui lo ha detto bene una volta: eravamo più complici, che rivali. Poi c’era a chi avrebbe fatto comodo che fossimo rivali: lui rappresentava la Juventus, io quasi il suo opposto, la Roma e Roma a qualcuno non piace e non è mai piaciuta. Ma noi in questo gioconon siamo mai caduti, anzi. Ci rispettavamo proprio perché capivamo l’uno il ruolo dell’altro. Le responsabilità di rappresentare qualcosa che andava oltre la singola squadra».
Lei debuttò in Nazionale proprio subentrando ad Alex, Italia-Svizzera 2-0 del 1998.
«Sì, all’esordio sono entrato al posto suo e al momento del cambio mi ha strizzato l’occhio: credo da quel gesto sia iniziata a nascere la nostra sintonia».
Da lì alla finale di Berlino con la coppa.
«Sì, il Mondiale è stato la chiusura del cerchio. Perché se agli Europei del Duemila eravamo quasi alternativi, in Germania eravamo complementari. E forse lo siamo anche caratterialmente: lui più riservato, io più espansivo. Ma siamo sempre andati d’accordo, anche per questo forse».
Lo ha un ricordo particolare, un aneddoto, su quella finale?
«Prima della finale eravamo tutti svegli, non riuscivamo a dormire. Lui a un certo punto, saranno state le due, ci fa: “Vabbè, io sono abituato alle finali, vado a dormire…”. Gli abbiamo detto di tutto, ma qui c’è tutto Alessandro. Un grandissimo cinquantenne».
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