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Oltre a Thiago Motta e Simone Inzaghi, i due ragazzi hanno un esempio in casa: papà Lilian.
«Lui è stato un campione pazzesco. Mi ricordo quando è arrivato al Parma, nell’estate del 1996. Serio, disciplinato, intelligente. Ancelotti, che ci allenava, gli spiegava una cosa e lui l’aveva già capita e già eseguita. Era un passo più avanti degli altri. E poi, stando con noi, alla sua aria da saggio con gli occhialini, ha unito la simpatia e la voglia di scherzare. Lilian è un francese molto italiano. Direi italianissimo. D’altronde ha trascorso gran parte della carriera al fianco di uno come Fabio Cannavaro, che gli insegnava pure il dialetto napoletano... Se i suoi figli sono arrivati a giocare ad alti livelli, credo che gran parte del merito sia di Lilian che ha fatto capire loro che cosa significa stare in questo ambiente, come ci si comporta, che cosa si deve fare e, soprattutto, che cosa non si deve fare».
Come immagina la prima sfida tra Inter e Juve: Marcus contro Khephren.
«Non vorrei essere nei panni di Lilian. Credo che, da buon papà, starà dalla parte di chi ha più bisogno di sostegno. Oppure non si schiererà affatto e magari non andrà nemmeno allo stadio: Lilian è più strano di quello che s’immagina...».
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