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Di Stefano (CorSera) ricorda Corso: “L’estroso di Extra coi calzettoni abbassati. Un idolo che…”

Il commento del giornalista sull'ex Inter, scomparso ieri a 78 anni

Matteo Pifferi

Attraverso un lungo editoriale, Paolo Di Stefano, giornalista del Corriere della Sera, ricorda Mario Corso, scomparso ieri all'età di 78 anni:

"Piango, come tanti, il mio idolo dell’infanzia. Piangiamo l’idolo delle nostre infanzie. Lo è stato per motivi estetici ed estatici. Il primo è ovvio: la foglia morta che andava a morire sotto la traversa con la malinconia simbolista dei versi di Prévert. Poi c’era la lentezza sonnolenta che assomigliava all’occhio acquoso fotografato nelle figurine. Last but not least, i calzettoni alla caviglia (senza parastinchi). In tanti abbiamo sognato di essere Corso. Io stravedevo, e per tutta l’infanzia ho giocato al calcio, in cortile e nei campetti, con i calzettoni abbassati. L’esaltazione mi portò a mettere insieme il suo paese misterioso, San Michele Extra, inciso nell’album Panini accanto alla data di nascita, con l’aggettivo «estroso» che trovai in un titolo, di fianco al suo nome, su un numero del settimanale Il Monello. Da allora Mariolino divenne un magico gioco di parole tutto mentale: l’estroso di Extra, sacrificando il povero San Michele, perché in fondo un santo c’era già ed era Mario. I ragazzi interisti sapevano che poteva anche eclissarsi, con la sua corsetta avulsa da nato stanco, perché quell’Inter era un insieme perfetto di classe operaia e di classe pura".

CLASSE - "Soprattutto Corso, l’estroso di Extra con i calzettoni abbassati. L’unica sregolatezza del genio mancino era quel capriccio dei calzettoni alle caviglie: non proprio una forma di ribellione ai canoni correnti (come lo sarebbero stati per Gigi Meroni), ma il segno visibile di una apatia — la fatica di tirarseli su — che diventava strafottenza dall’alto di una classe consapevole. Il resto era silenzio, come nell’Amleto. Un genio muto, a tratti amletico: del resto, se parlava gli usciva un pigolio ancora più ridicolo di quello del compagno Sandrino. Il quale, dovendo correre anche per lui, non lo amava, ma gli riconobbe un merito: «È facilissimo giocare con Mario, sai che se guarda a sinistra, la palla te la mette a destra con precisione assoluta». Detto ciò, chi di recente ha avuto la fortuna di rivedere su RaiSport la finale di Coppa dei Campioni 1964 con il Real Madrid, ha potuto ammirare un giovane Mariolino tutt’altro che indolente. Persino con accelerazioni irresistibili. Nicolò Carosio, senza emozione palpabile, a trionfo compiuto (3-1) lo definì il «vero concertatore e direttore d’orchestra». Classe pura. A onor del vero, la classe operaia di Tagnin aveva però «francobollato» la classe pura del vecchio Alfredo Di Stefano".