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Domenghini: “Inter, firmai in bianco. C’ero anche io con Mazzola, Suarez e Corso! Il derby…”

Le dichiarazioni dell'ex calciatore nerazzurro, che ricorda il suo arrivo all'Inter, le coppe e le sensazioni nel derby

Angelo Domenghini, grande protagonista dell’Inter degli anni ’60, ha rilasciato un’intervista ai microfoni de’ La Gazzetta dello Sport.

Poi, nel ’64, arriva la Grande Inter, campione d’Europa. Se l’aspettava?

“Sì, anche se si parlava di Torino e Milan. Avevo 23 anni, con tre campionati in A. All’Atalanta prendevo un milione a stagione, firmai un contratto in bianco e Angelo Moratti scrisse: quindici. Ero arrivato a Milano con la Seicento, mi sono subito comprato un’Alfa decappottabile, come quella di Mazzola. Ai miei ho sempre dato qualcosa, ho anche comprato un televisore per l’osteria e per i miei nonni. Il papà non lo voleva, il televisore. Non voleva la lavatrice, non voleva gli elettrodomestici. A lui del boom economico non fregava niente. Andava bene con la sua osteria, il suo campo da bocce, l’orto con i cavoli cappucci”.

Con l’Inter una coppa Campioni e due Intercontinentali. Il momento più bello?

“Tutti. Come fai a scegliere? Eravamo una grandissima squadra, ma i giornalisti parlavano sempre di Mazzola, Suarez, Corso. E poi Corso, Suarez, Mazzola. Giusto, erano bravi, erano le stelle. Ma anch’ io facevo qualcosa. Io non voglio dire che sono stato sottovalutato, ma forse, dico forse, meritavo un po’ più di attenzione. Anche in Nazionale. Si parlava solo di Riva, Rivera, Mazzola, Boninsegna. Ogni tanto anche di Domenghini”.

Derby Champions con Leao e Lukaku. Chi volerà in finale?

“Eh, qui ci vuole la sfera. Il derby è sempre il derby. Io ne ho fatto qualcuno e so cosa significa. Una cosa che ti prende lo stomaco, un’emozione veramente forte. Una volta segno al Milan e uno della tv mi chiede: “Domenghini, ci parli della sua ciabattata”. L’avrei mangiato. La storia della “ciabattata”, inventata da Gianni Brera dopo un gol, mi ha perseguitato. Potevo segnare di testa, al volo, in rovesciata, di tacco. Ma era sempre ciabattata, era diventato un luogo comune”.