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Dzeko contro le logiche del calcio d’oggi: meglio essere bravi che giovani

Fabio Alampi

L'attaccante bosniaco è stato l'autentico protagonista della Supercoppa Italiana, fra gol e giocate illuminanti

Migliore in campo ieri sera nella finale di Supercoppa Italiana, Edin Dzeko ha dimostrato una volta di più di essere un attaccante di livello assoluto, a prescindere dai quasi 37 anni di età: gol, giocate intelligenti, movimenti per i compagni, sacrifici. Un calciatore a tutto tondo che si merita gli elogi del Corriere dello Sport: "Ci sono finali che si lasciano raccontare facilmente, con quattro parole. Questo derby beduino è uno dei più stringati: basta prendere la prima mezz'ora di Dzeko e si è detto tutto. Magari, volendo, potremmo pure proiettarla se non proprio nei licei, almeno nelle scuole calcio. In quella mezz'ora, si vede e s'impara come si gioca e che cos'è un centravanti. Vale per gli addetti ai lavori, i signori degli schemi e dei moduli, vale per i profani che buttano l'occhio. Dzeko è da manuale. Gioca come un libro stampato. Senza neanche un refuso".

"C'è qualcosa di compiuto e di assoluto in questa sua finale. Gioca e segna. Fa giocare e fa segnare. Lotta e ricama, piccona e accarezza. È marmista e cesellatore. Vedendolo così, gli interisti possono persino pensare d'essere diventati tutti quanti daltonici, perché là davanti domina e imperversa un Lukaku bianco. Quando Lukaku era Lukaku, si capisce.

Uscendo dall'estetica per passare al terra terra, risulta che uno Dzeko così sia in scadenza di contratto. Certo nel calcio d'oggi, che procede per dogmi e luoghi comuni, la legge è ringiovanire. Tutti a cercare talenti precocioni, col bavaglino e magari meglio ancora nel girello. Cosa farsene degli Dzeko. Vediamolo nel docufilm da Riyad, cosa farsene di Dzeko. E poi magari apriamo la mente per essere più elastici, stabilendo magari come unica legge vera, una volta per tutte, all'Inter come in politica, nello sport come nella vita, che essere giovani non è tutto, molte volte nemmeno sufficiente, perché è meglio essere bravi".