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Andreini, cardiologo: “Eriksen? Alcune patologie sfuggono ai controlli. Sulla ripresa…”

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Il cardiologo del Monzino si è espresso su quanto accaduto a Eriksen durante la partita di ieri contro la Finlandia

Andrea Della Sala

Su quanto è successo a Eriksen, sulle possibili cause e su quanto accadrà ora si è espresso a La Gazzetta dello Sport Daniele Andreini, responsabile della Cardiologia dello Sport e dell’Unità Operativa Radiologia e TAC Cardiovascolare al Centro Cardiologico Monzino di Milano:

Come è possibile che cose del genere capitino ad atleti professionisti supercontrollati come Eriksen?

«A prima vista si è parlato di sincope, ma non è appropriato perché la sincope è una perdita di coscienza breve con una ripresa autonoma. Qui invece l’atleta è stato soccorso dai compagni e dai sanitari, gli è stato effettuato un messaggio cardiaco. Siamo di fronte a un arresto che potrebbe essere dovuto magari a un’aritmia ventricolare, a una tachicardia sostenuta. Questo può succedere, nonostante i controlli. E in Italia i controlli sono severi, più che in altri Paesi europei, per non parlare degli Stati Uniti».

Quali patologie possono sfuggire?

«Penso alla cardiomiopatia aritmogena, ma anche a malattie legate all’attività elettrica del cuore, che possono manifestarsi per la prima volta in modo drammatico senza prodromi. Ai controlli medici talora non danno segni di anomalia. Sono casi rari, ma le morti improvvise purtroppo capitano. Soprattutto negli atleti di alto livello, sottoposti a livelli di stress psicofisico che possono scatenare l’aritmia stessa».

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Come si affrontano casi come quello capitato a Eriksen?

«Certamente è stato fatto un massaggio cardiaco. Il “muro” che i compagni hanno effettuato in maniera appropriata per tutelare la privacy del ragazzo non ha fatto vedere se sia stato usato anche il defibrillatore. A ogni modo l’intervento è stato supertempestivo, dal malore alle prime manovre di soccorso sono passati 10-15”. Correttamente all’inizio è stata controllata la pervietà delle vie aeree, per poi iniziare il massaggio».

È questo il motivo per cui lasciando il campo in barella Eriksen è sembrato già cosciente, e più tardi è riuscito a parlare?

«In caso di cuore fermo non c’è perfusione di sangue verso gli organi. Va quindi garantita in maniera meccanica, e prima si inizia, più facile è che l’aritmia si interrompa e soprattutto non si abbiano reliquati, cioè danni postumi. Il cervello è il primo degli organi a rischiare problemi ischemici. Raramente l’aritmia si può interrompere anche da sola, ma in questo caso credo che il merito sia dei soccorritori: la loro sequenza è stata tempestiva e corretta».

Quindi è il cervello a rischiare i danni maggiori.

«Sì. Se sono passati due o tre minuti dall’arresto, il defibrillatore può dare il ripristino elettrico del normale ritmo cardiaco, ma i danni che può aver subito il cervello, restano molto pesanti».

Sulla base dei segnali di ripresa di ieri, è possibile ipotizzare già se Eriksen potrà tornare a svolgere attività fisica e magari a giocare?

«Difficile dirlo in questo momento. Un arresto cardiaco, se di questo si tratta, solitamente non avviene in un cuore sano. Di base spesso c’è una cardiopatia organica alla base delle aritmie. Occorrerà far degli approfondimenti, a iniziare da un’elettrocardiogramma e da una risonanza magnetica. Magari già l’ECG fatto subito dopo l’arrivo in ospedale ci dirà qualcosa sul perché. Magari ci possono essere cause secondarie che si possono rimuovere in modo che il problema non si ripresenti. Una ipopotassemia, ad esempio: se il potassio è basso si rischiano aritmie gravi. Ma questa è l’ipotesi migliore. Occorre ricostruire la sequenza degli eventi, ma spesso in questi casi c’è una causa rilevante che pregiudica il ritorno all’attività».

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