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GdS – Inter, Eriksen equivoco come Roberto Carlos-Hodgson: Conte pensava di piegarlo come…

Alessandro De Felice

La Gazzetta dello Sport ricorda alcuni episodi che definisce equivoci tra cui quello del terzino sinistro brasiliano all'Inter

In casa Inter continua a tenere banco la situazione legata a Christian Eriksen. Il centrocampista danese, arrivato dal Tottenham lo scorso gennaio, non è ancora riuscito a inserirsi alla perfezione nello scacchiere tattico di Antonio Conte. Alessandro De Calò, giornalista de' La Gazzetta dello Sport, ha analizzato il tema nella sua rubrica sulle colonne della Rosea 'DecaTrend':

"A 22 anni, Roberto Carlos giocava nell’Inter e si capiva che aveva qualcosa di speciale nelle gambe, nel piede mancino, nel modo di toccare il pallone. Però Roy Hodgson – allenatore inglese sceso a Milano dopo una tappa in Svizzera – non lo vedeva bene. Nel suo sistema di gioco, irrigidito dagli angoli retti e ottusi, uno come il brasiliano finiva con l’essere superfluo. Difendeva poco e male, secondo lui. Gli preferiva gente come Pistone o Centofanti. E così quella vecchia volpe di Capello, che due cose di calcio le capisce, se l’era portato a Madrid. Col Real, Roberto Carlos è diventato quello che sappiamo, uno dei più grandi terzini o laterali sinistri di sempre, non molto staccato da Paolo Maldini.

Cosa insegna questa storia? Ci parla degli equivoci del calcio, dei lapsus che ne disegnano i bordi lungo mille percorsi, grandi e piccoli. Un equivoco continua a essere Christian Eriksen, che con il Tottenham finalista di Champions nel 2019 si era imposto come uno dei più bravi trequartisti al mondo e come miglior uomo-assist della Premier. L’impatto in nerazzurro è deludente. Vero. Del resto, nel calcio di Conte il suo ruolo non è previsto. Oppure non è previsto che sia affidato a qualcuno con le sue caratteristiche. Perché allora, in gennaio, l’Inter l’ha preso? Okay, con Eriksen a fine contratto era una buona occasione, considerato anche il mondo diverso dell’era pre-Covid. E Conte, forse, pensava di poterlo piegare alle sue esigenze, un po’ come aveva fatto Van Gaal ai tempi del Barça con Riquelme, l’ultimo vero grande trequartista del calcio. «Quando hai il pallone tra i piedi sei il migliore del mondo – gli aveva detto l’olandese –, ma quando non ce l’hai, giochiamo in dieci». Ogni tanto lo metteva in campo come terzo attaccante, a sinistra per non disturbare. E se giocava male, era colpa sua. Più o meno la stessa fine di Henry, arretrato a centrocampo nella Juve di Ancelotti, prima di affermarsi come centravanti tra i top del pianeta nell’Arsenal di Wenger assieme a Bergkamp, altro scarto dell’Inter. Tutto torna.

Cosa fare con Eriksen, dunque? Prima di continuare a svalutarlo e di alzare bandiera bianca, io proverei a lasciarlo libero di muoversi, dandogli molta responsabilità. Userei la sua raffinatezza per inventare calcio – anche da regista decentrato – mettendogli al servizio gli altri muscolari del centrocampo, compresi i Barella e i Vidal. Al gioco dell’Inter continua a mancare una luce di imprevedibilità, la mossa del cavallo. Peccato averla e tenerla in tasca, non sono i dieci minuti rubati in qualche finale di partita che possono cambiare le cose".