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Facchetti: “San Siro simbolo, si valuti bene. Io vorrei Sportium. Una domanda”

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Le parole del figlio di Giacinto: "Uno stadio che taglia 20mila persone vuole che il calcio diventi esclusivo per gli sponsor e che sia un posto dove si va a fare un'esperienza"

Marco Astori

Gianfelice Facchetti, figlio dell'ex colonna dell'Inter Giacinto, è stato ospite del Festival dello Sport di Trento per presentare il proprio libro "C'era una volta a San Siro". Queste le sue dichiarazioni in occasione dell'evento a lui dedicato: "L'idea di questo libro è partita durante il lockdown, quando il calcio riprese: penso capitasse a tanti di guardare le partite con uno spettacolo depotenziato. Guardando quello che accadeva in campo, mancava qualcosa: quindi c'era un movimento della memoria che andava a recuperare dei ricordi di normalità che avevamo smarrito con la pandemia.

Allora mentre guardavo, ricordavo le mie volte a San Siro e ho detto: "Perché non dare voce allo stadio e farlo parlare?". E di farlo in un momento in cui si insiste sempre di più del nuovo stadio, ma lo si fa con un filo di leggerezza: io ho cercato di non prendere posizione e di far parlare i club, il quartiere, che ha la sua necessità, e il Comune, che manifesta le sue perplessità. Ho fatto parlare tutti perché credo che un luogo così, che non è solo uno stadio di calcio ma un simbolo, nel 2021 si debba chiedere alle persone e ai tifosi cosa farebbero. A me meravigliava il fatto che nessuno l'avesse fatto fino a qualche giorno fa.

Facchetti: “San Siro simbolo, si valuti bene. Io vorrei Sportium. Una domanda”- immagine 2

La prima partita a San Siro è un derby del 1926 che l'Inter vince per 6-3. All'epoca era solo lo stadio del Milan, poi nel 1980 viene intitolato a Meazza, bandiera dell'Inter. Poi c'è l'unicità che ad un certo punto le due squadre decidono di condividere la stessa casa. La manifestazione di voler restare ancora nella stessa casa è molto bella, non so quanto sarà praticabile: le esigenze sono tante.

Quando si deciderà di San Siro, non si può tornare indietro. E' la ricchezza della storia che dà una sensazione di pienezza di significati che lo stadio si porta dietro. Bisogna essere chiari con le persone, bisogna dire che per rifare San Siro, siccome non ci sono soldi, bisogna costruire altrettanto cemento. Visto che si dice che il progetto è quello degli americani, perché non si chiede alle persone cosa pensano del progetto italiano? A Milano una cattedrale ce l'abbiamo già, io vorrei il progetto di Sportium.

Ci sono questione aperte sulle quali bisogna interrogarsi: ci vuole un pensiero strutturato. La domanda è: oggi è uno sport popolare il calcio? Per me non lo è già più. Basta vedere le difficoltà per i bambini per giocare, anche all'oratorio c'è la scuola calcio: il campo libero non esiste più. Uno stadio che taglia 20mila persone vuole che il calcio diventi esclusivo per gli sponsor e che sia un posto dove si va a fare un'esperienza, tipo a Gardaland. O noi rimettiamo le persone al centro del fatto sportivo, oppure questa cosa si allontanerà sempre di più

Cosa succederà? Io mi auguravo che ci fosse un momento di confronto e che da San Siro potesse partire una partecipazione attiva della città per un luogo caro che racchiude tantissimo. Il dibattito è ripartito dopo le elezioni: mi auguro che San Siro resti e che non saremo tutti a whatsappare come hanno fatto Inter e Milan a Sala appena rieletto".

 

 

 

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