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Psicologo Fagioli: “Troppi soldi per i calciatori, non sanno gestirli. Suggerisco di…”

Fagioli Italia
"I fattori di rischio sono molti. Sicuramente i soldi e un livello d’istruzione medio basso", commenta Paolo Jarre
Matteo Pifferi Redattore 

Paolo Jarre, terapeuta di Fagioli ed esperto delle tematiche sull’azzardo patologico, ha parlato a La Stampa del tema scommesse nel calcio.

Le scommesse sembrano travolgere il mondo del calcio. È un’esagerazione?

«Facciamo i conti. Anche solo limitandoci ai calciatori di Serie A, abbiamo a che fare con una platea di circa 500 ragazzi. Secondo le stime che si basano sulla popolazione generale, in questi 500 dovremmo trovare dall’1 al 3% di persone con disturbi da gioco d’azzardo, tra 5 e 15 soggetti. Invece riscontriamo un tasso verosimilmente superiore di tre volte».


Perché?

«Parliamo di giovani, maschi (i maschi da sempre azzardano di più),con parecchia disponibilità economica e contemporaneamente con un’attitudine al risparmio e all’uso oculato del denaro molto limitata».

Troppi soldi che non sanno gestire?

«I fattori di rischio sono molti. Sicuramente i soldi e un livello d’istruzione medio basso. Poi c’è un altro aspetto: il loro mondo li pone in una situazione di prossimità con le scommesse sportive. Se ne parla continuamente. E sono ragazzi che molto spesso non hanno gli strumenti per affrontare certe tentazioni. I più sono andati via di casa giovanissimi, affidati alle strutture delle società sportive che, va da sé, non hanno la valenza educativa paragonabile a quella di una famiglia».

Molti di loro dicono di aver iniziato a scommettere per noia. Semplice giustificazione o nasconde qualcosa di più profondo?

«I calciatori hanno mezza giornata di allenamento e una volta alla settimana una giornata intera. Poi la partita. Tutto il resto è tempo libero. Con il cellulare in mano, non più l’autoradio di Toto Cotugno. E tanti soldi, che arrivano all’improvviso. Sono soldi che, lo dico tra virgolette, non sono faticati. È pagato un talento, una fortuna, non una fatica in senso canonico. E questi ragazzi non sempre hanno la struttura per reggere e gestire le ore libere insieme a una disponibilità economica molto elevata».

Il problema è educativo?

«Anche. Sono giovani che dovrebbero essere protetti da sé stessi. Essere avvicinati allo studio, accompagnati in attività esterne di carattere sociale. Ricevere stimoli differenti. Io poi ho una mia teoria. Una suggestione, quasi una fantasia».

Quale?

«Nello specifico degli sportivi, i soldi dovrebbero essere spalmati nel corso degli anni. Così da poter imparare a dare il giusto valore al denaro. I giovani calciatori devono capire che la loro condizione devono tutelarla, conservarla, pensando al futuro».

Eppure giocano tutti grandi cifre. Più di quanto potrebbero permettersi.

«A livello psicologico e neurologico accade qualcosa di sovrapponibile al consumo di droga. Cercano la gratificazione forte, immediata. La complessità delle scommesse, in fondo, punta a questo».

Ovvero?

«Oggi le scommesse sportive sono più complesse di una volta, quando l’esito era vince uno, vince l’altro, c’è un pareggio. Adesso sono state parcellizzate così da ottenere responsi immediati, controllabili e circoscritti. Ad esempio, in ambito illegale si può scommettere su un’ammonizione. Questi sono tutti elementi che se da un lato spingono alla corruzione dall’altro sono pensati per ottenere subito un responso della propria puntata. E l’immediatezza determina una gratificazione paragonabile a quella di una piccola dose di droga».

Crea dipendenza come lo stupefacente?

«Da 10 anni la comunità scientifica ha messo il disturbo del gioco d’azzardo nello stesso capitolo della dipendenza da sostanze». «Lo fanno tutti e così abbiamo iniziato anche noi», raccontano molti calciatori.

Quanto incide l’emulazione?

«Il problema è culturale. Negli ultimi 25 anni in Italia c’è stata un’espansione pazzesca di consumo del gioco d’azzardo. Soprattutto legale. Giocare soldi non è più un disvalore. Non è più un qualcosa di negativo».

Come si argina il fenomeno?

«Per chi sbaglia, la giustizia sportiva si è aperta dei programmi alternativi. Di rieducazione. Ecco, questo credo sia un primo passo importante»

 

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