Riccardo Ferri, ex difensore dell'Inter, ripercorrela sua carriera in nerazzurro in un'intervista concessa a Tuttosport: "Nel mio cuore ci sarà sempre un posto per Eugenio Bersellini, per l'allenatore che ha creduto in me sin dall'inizio quando ero ancora un ragazzino".
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L'ex difensore ripercorre la sua lunga carriera in nerazzurro
Cominciamo da lui allora…
"Lo chiamavano Sergente di Ferro ma in realtà aveva un grande cuore, ed era molto attento ai giovani. Mi ricordo un giorno che uscendo dal campo dopo la gara con la Primavera incrociai il suo sguardo e intuii che gli ero piaciuto…".
Se la sentiva che prima o poi l'avrebbe buttata dentro?
"Sapevo di essermi guadagnato la sua stima. Quel giorno con il Cesena in panchina ero seduto in fondo, lui era dall'altra parte. Quando si sporse per chiamare il cambio di Pasinato, allungai la testa d'istinto, lui mi indicò col dito e mi disse: "Ferri scaldati". Mi ricordo che ho bruciato l'erba su quella parte esterna del campo dove mi scaldavo, ricordo anche che mentre entravo in campo, davo la mano a Giancarlo e dovevo raggiungere la parte opposta del campo, mi sembrava di affondare dentro il terreno di gioco. Dentro di me dicevo "pensa a quello che devi fare, non viverla male Riccardo". Raccontandolo mi sembra di rivedere ancora quella corsa…".
Primo avversario?
"Uno semplice da marcare (ride)… Walter Schachner".
Quello che avrebbe voluto marcare?
"Zlatan Ibrahimovic. Sarebbe stato un bel duello…".
Torniamo ai suoi allenatori: Bersellini e poi?
"Dico Trapattoni. Con lui ho vissuto il mio miglior momento della mia carriera".
Non le manca qualche vittoria con la maglia dell'Inter?
"Forse avremmo potuto vincere un campionato che poi ha conquistato la Sampdoria. Quell'anno lì ci furono alcune cose strane: non ci convalidarono un gol regolare a Firenze, e un altro a Klismann nello scontro diretto. Con quei punti quel campionato l'avremmo vinto ancora noi…".
Lei non ha mai perso la testa?
"I valori che ti vengono trasmessi dalla famiglia sono tutto. Io vengo da una famiglia "modesta": mio padre operaio, mia madre casalinga e tre figli da mantenere. Vedevo mio padre far tre lavori per cercare di portare a casa uno stipendio. Questa sofferenza ha fatto sì che tutti noi fratelli avessimo quella voglia di "fare in fretta" per dare una mano a nostro padre che non poteva continuare così tutta la vita".
La testa, la famiglia e i compagni giusti…
"Giampiero Marini per me è stato come avere un altro fratello. Quando sono arrivato ad Appiano Gentile in lui ho trovato la persona con cui potevo confidarmi, chiedere un aiuto. Marini mi ha dato consigli in campo e nella vita. Anche oggi è un grandissimo amico".
Si è mai sentito schiacciato da San Siro?
"Mi hanno sempre incitato, aiutato a fare bene. Forse l'unico momento è stato quando sono rientrato dall'infortunio e non ero più quello di prima. Forse vedevano in me un giocatore finito. Sentivo qualche mugugno, che non c'era più quella fiducia…".
C'è mai stato un momento in cui è stato lontano dall'Inter?
"Dopo il Mondiale di Italia '90 la Juventus mi voleva. Mi offrivano il 30% in più dell'ingaggio. Li ringraziai ma dissi di no. Non sarei mai andato a Torino come non sarei andato mai nel Milan di Sacchi come del resto Baresi e Maldini non sarebbero mai venuti all'Inter. Facevamo parte di quei giocatori che giocavano davvero per la maglia. Si facevano scelte di cuore. Non volevi andare a vincere da un'altra parte, volevi vincere con la tua maglia, i tuoi colori indosso…".
Quando capì che arrivato il momento di lasciarla?
"La sera prima della finale di Coppa Uefa, quando dissi a Marini che non me la sentivo di partire dall'inizio, che non potevo dare il massimo. Lì ho capito di non essere più utile all'Inter e quindi era giusto pensare anche di andare via…".
Come si è sentito poi?
"E' stata dura. Avrei voluto finire con la maglia dell'Inter, decidere io quando, dire "Questo è il mio ultimo campionato, la mia ultima partita, la mia ultima maglia". Purtroppo non è andata così. Rimane questo rammarico, rimarrà per sempre".
Come è stato tornare a San Siro da avversario?
"Un'emozione unica. Ricordo che rimasi un paio di minuti a guardare la Nord, quello striscione, quelle mia foto gigante… E' stato un riconoscimento incredibile, un affetto enorme che quei ragazzi della Curva mi hanno sempre dimostrato".
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