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Gravina, in una lettera aRepubblica , ha riconosciuto la necessità di adeguare lo statuto federale all’emendamento Mulé, e al tempo stesso ha messo in guardia: «Qualunque espansione di sovranità per uno dei componenti della governance comporta una corrispondente riduzione per un altro. Una piramide rovesciata, dove i pochi finissero per contare più dei molti, non sarebbe più il simbolo della sussidiarietà e dell’autogoverno degli sportivi, ma solo la giungla dei più forti». Non fosse stato per le pressioni della Serie A, sarebbe volentieri andato a elezioni il 4 novembre, per non dare tempo a possibili avversari di organizzarsi e per evitare il rischio di un commissariamento de facto da parte della politica. Quando gli si chiede se nel 2025 abbia intenzione di ricandidarsi, il presidente prende tempo: «Non cambia nulla per me. La mia riserva sulla ricandidatura si scioglierà quando avrò chiuso il percorso di rispetto di alcuni principi, cioè quelle che sono le nuove regole del gioco », ha detto al termine del consiglio. Una variabile sono gli sviluppi dell’inchiesta della procura di Roma, in cui Gravina è indagato per autoriciclaggio, con il sospetto di avere intascato tangenti dalla vendita dei diritti tv della Lega Pro, nel 2018. Accuse che lui e i suoi legali hanno sempre respinto.
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