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«I soldi, purtroppo, oggi sono altrove. E non è una questione di appeal. C’è un dislivello economico con la Premier che è incolmabile. Però si parte da un paradigma sbagliato».
Quale?
«Che ci sentiamo defraudati».
Non dovremmo sentirci così, a forza di perdere i migliori?
«Ma no. L’Italia deve diventare produttrice di calciatori e andarne fiera. In questa nuova visione può essere centrale nel panorama internazionale. Bisogna ribaltare il paradigma: con i soldi di Tonali e Vicario, ad esempio, si possono modernizzare le infrastrutture, fare gli stadi, investire sulla formazione dei tecnici per continuare a crescere al meglio i nuovi Tonali e Vicario».
Qualcuno potrebbe obiettare che così la Serie A sprofonderebbe in termini di prestigio.
«Abbiamo avuto tre squadre nelle finali di coppe pur senza spendere come gli inglesi per cartellini e ingaggi. La ricetta del successo non è tanto vinci e tanto spendi. Quanto l’ha pagato il Napoli Kvaratskhelia?».
Poco più di 11 milioni.
«Appunto. Quando te lo comprano a 100 non ti hanno portato via niente, ma ti hanno portato un sacco di soldi utilissimi per crescere ancora»
Perché, secondo lei, gli arabi non investono nel nostro calcio in termini di proprietà?
«Penso che volessero comprare il Milan qualche tempo fa. Il problema principale credo riguardi i ritorni economici degli investimenti. L’ultima squadra della Premier guadagna il doppio di diritti tv della prima in Italia, e può costruire il suo stadio in poco tempo. Qui la burocrazia ti mangia».
Si ha la sensazione che in Inghilterra, in particolare, le maglie del fair play finanziario siano più larghe. Perché solo i nostri club sono in spending review?
«Se uno mette soldi propri, se ha la possibilità di spendere, perché non dovrebbe farlo? Ritengo giusta la libertà di movimento se c’è una reale potenzialità, cosa che i nostri club indebitati non hanno».
Tebas, presidente della Liga, ha parlato di mercato “dopato” riferendosi alla Premier. È così?
«Per me no. È un mercato più ricco ed è normale che tutti vogliono andare a giocare lì. Anche se poi ve la prendete con i procuratori»
Per le commissioni?
«Continuano ad aumentare, è vero, ma solo perché gli stipendi crescono. E chi li paga gli stipendi? Sempre i club».
Perché la Fifa non adotta un controllo sull’origine di certi investimenti provenienti in particolare dal mondo arabo?
«Dovrebbero studiare certi flussi, analizzare la fonte di certe entrate. Ma la Fifa vede solo quello che vuole. Adesso, ad esempio, sta combattendo una battaglia contro gli agenti, il bersaglio più facile ma senza i quali le società non saprebbero fare mercato. Con noi sono durissimi, hanno scritto un regolamento per metterci all’angolo. E su altro chiudono gli occhi. Non ci hanno mai coinvolti e noi stiamo chiedendo da anni, a tutte le istituzioni, di aprire un tavolo».
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