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Il primo: un solo cartellino speso tra Inter e Atalanta. Acerbi non ha avuto bisogno di strappare la maglia di Haaland, come Gentile (ammonito due volte) con Zico e Maradona; nessuno ha preso Saka per il coppino come Chiellini (ammonito). Guardiola ha spiegato bene a fine partita, con un filo di frustrazione, come è stato fermato il Mostro norvegese: tre uomini alle spalle per chiudergli i varchi, tre centrocampisti davanti per spezzare i rifornimenti. Movimento, sincronie, appunto. Difesa di squadra 2.0, senza bisogno di randellate d’altri tempi. Siamo ben oltre la mistica delle zuffe eroiche sulle barricate. E così ha fatto l’Atalanta con la brevettata aggressione in avanti, senza palla. Secondo rilievo: l’Inter ha avuto ottime occasioni con Mkhitaryan e con Darmian, imploso in un colpo di tacco sciagurato. Retegui ha sprecato addirittura un rigore. Inzaghi e Gasperini non si sono difesi per non perdere, ma per vincere. Perché il calcio moderno ha bandito da tempo la logica di una partita vissuta in una sola fase. Un tempo si poteva, ora non più. Un tempo il coraggio tattico era una scelta, oggi una prerogativa necessaria. Non a caso, saranno i gol segnati, specie in trasferta, a qualificare le squadre giunte a pari merito dopo la prima fase di Champions. Paradossalmente, davanti alla modernità tattica di Inter e Atalanta, l’idea di Guardiola, considerato da sempre lo Steve Jobs del pallone, innovatore seriale, e del suo pupillo Arteta, è apparsa impolverata dal tempo. A fine partita, Pep, con una rassegnazione inedita, ha ammesso la sua sensazione di impotenza: «Marcavano Haaland con 6 uomini, non potevamo colpirli in ripartenza perché non abbiamo la loro gamba e sono più potenti di noi. Potevo solo avvicinare giocatori a Erling e infatti Gundogan stava segnando». La sensazione è che il gioco posizionale di Pep, in un calcio sempre più evoluto nell’occupazione degli spazi, abbia bisogno di una rinfrescata: più movimento, più velocità, più fisicità. Glielo ha suggerito, a suo modo, anche l’amico Sacchi: «Pep, i tuoi ricevono da fermo il 90% dei passaggi. Secondo te è più facile impallinare un uccello su un ramo o uno che vola?» Troppi giocatori di piccola taglia (Bernardo Silva, Lewis…) che ricamano sul posto. La Spagna, culla del tiki-taka, ha vinto l’Europeo correndo molto negli spazi. Guardiola tornerà in laboratorio? La soddisfazione di Arteta nel pilotare in porto un punticino a Bergamo è stata quasi sorprendente, un attestato di stima in più in questo turno di coppa che, Milan a parte, ha lucidato la reputazione del campionato italiano.
Oggi City-Arsenal, stasera Inter-Milan. Nel derby di 30 anni fa, 20 marzo 1994, il Milan, con 7 punti di vantaggio e una partita in meno, era nettamente favorito. Si preparava a festeggiare lo scudetto e la gloriosa Coppa Campioni di Atene. I protagonisti del trionfo sul Barcellona si scaldarono nel derby: vantaggio di Savicevic, gol decisivo nel finale di Massaro che divenne Provvidenza per sempre. Pochi minuti prima del 2-1, l’Inter aveva pareggiato con una zampata di Salvatore Schillaci, entrato da poco con una maglia numero 13 troppo grande che gli dava una tenerezza da bambino e con capelli tirati all’indietro, da giovane Gramsci. Segnò e corse per il campo con il braccio alzato e gli occhi accesi, come a Italia ’90. Fu l’ultima volta che ce li mostrò, perché un mese più tardi sarebbe volato in Giappone. Per questo oggi ricordiamo quel derby, perché Totò resterà così in eterno nella nostra memoria, con gli occhi luminosi di felicità. Gli stessi occhi che avevamo noi nelle Notti Magiche. Grazie ancora, Totò, Riposa".
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