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Flop italiane in CL, Garlando: “Inter senza qualità con lo Shakhtar. E col Siviglia…”

Matteo Pifferi

Il giornalista, sulle colonne della Gazzetta dello Sport, ha provato a tracciare un quadro della situazione del calcio italiano

Come nel 2016, anche quest'anno non c'è nemmeno una squadra italiana tra le prime 8 della Champions League. Luigi Garlando, giornalista de La Gazzetta dello Sport, ne ha parlato così sulla Rosea:

"Siamo rondini al contrario. Arriva la primavera e le italiane volano via dalla Champions League. Nessuna squadra ai quarti, come nel 2009, nel 2014 e nel 2016. È un lungo inverno che non finisce più. Ultimo trofeo alzato nel 2010 (Inter). Da allora, in 11 stagioni: la miseria di 2 finali (Juve) e una semifinale (Roma), mentre la Spagna vendemmiava 6 vittorie, di cui 2 in un derby (Real Madrid-Atletico Madrid). Lontani i tempi in cui la finale era tutta italiana (Milan-Juve, 2003) e ancor più lontano il decennio d’oro 1989-1999, in cui ne ammassammo 4 (3 il Milan, 1 la Juve). Allora eravamo ricchi e i fuoriclasse sceglievano la Serie A. Vero, ma non è un alibi che ci assolve. Paghiamo colpe ed errori. Le parole chiave per spiegare il cielo di Champions senza rondini italiane sono le solite tre: tecnica, ritmo, esperienza. Nel 2005 Sacchi, d.t. del Real Madrid, fece arrivare Sergio Ramos dal Siviglia. Costava un botto. Arrigo giurò: «Diventerà Maldini». A quel nome, Florentino Perez mise mano al portafoglio. Nel ritiro estivo in Austria, Ramos occupò uno dei quattro vertici di una metà campo. Negli altri: Ronaldo il Fenomeno, Roberto Carlos e Zidane. Prima di calciare, uno urlava: «Piede!», «Petto!» e il pallone volava sul piede o sul petto del compagno lontano, preciso al millimetro. Il difensore 19enne teneva il passo dei tre galattici. Il Real di Zidane e Ramos ha schiantato l’Atalanta sul piano tecnico più che altrove. I passaggi sbagliati da Muriel e Malinovskyi, i retropassaggi suicidi di Musacchio e Bentancur, l’Inter che rimbalza due volte contro lo Shakthar senza qualità nella rifinitura. Le rondini italiane hanno pagato prima di tutto una tara tecnica".

Tecnica e tattica

"All’estero la curano di più. All’alba del Barça del Pep c’erano Xavi, Iniesta e compagni che si tenevano per mano, formavano cerchi e vagavano per il campo palleggiando. «Pase y control»: il succo primordiale. Se passi e controlli meglio la palla, vinci. Lo senti dal rumore che il pallone in Champions ha più peso: passaggi più secchi, decisi. Così come i passaggi dell’Atalanta rimbombano di più negli stadi vuoti di Serie A. Eppure la nostra squadra più internazionale è stata spazzata via tecnicamente. A noi interessa di più la tattica. Negli stadi vuoti, si riconoscono meglio i boschetti dei match-analyst: ragazzi muniti di computer, videocamere che vivisezionano la partita. Preziosi, per carità. Ma, forse, meglio qualche analista in meno e qualche educatore tecnico in più, tipo il fido Italo Galbiati che lucidava i fondamentali degli Immortali di Sacchi e il sapiente Ciso Pezzotti che raffinava i piedi mondiali degli juventini e degli azzurri di Lippi. La capolista di A si è giocata la partita scudetto lasciando palla e campo all’Atalanta. La stessa Inter che si è squagliata davanti al palleggio di qualità del Siviglia nella finale di Europa League. Perché si migliora anche in partita. Chi tiene palla per 60’ a fine gara uscirà più istruito di chi l’ha tenuta per 30’. Se il match si riduce a una partita a scacchi, a una guerra di posizione (e in Serie A spesso è così), è difficile raggiungere quell’intensità agonistica, quei ritmi di gioco che paghiamo regolarmente all’estero. Perfino la furiosa Atalanta. Oltre all’esasperazione tattica, due elementi frenano la nostra intensità: gioco spezzettato e vecchie star. Gli arbitri italiani fischiano più che all’estero, troppo. E troppe squadre ricorrono alla perdita di tempo, alla simulazione, come strategia di gioco. Così siamo arrivati che Cagliari-Torino del 19 febbraio ha avuto 45’37” di gioco effettivo. Si è giocato un tempo solo. Se giochiamo la metà, corriamo la metà".