Intervenuto ai microfoni di Tuttosport, Emanuele Giaccherini, ex calciatore della Juventus, ha parlato così di Antonio Conte, allenatore che l'ha portato al top in bianconero e in nazionale: «È stato il mio allenatore più importante, quello che mi ha fatto diventare “Giaccherinho”. Resto affezionato al tecnico e gli auguro di vincere il campionato con l’Inter, se lo merita».
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Giaccherini: “Conte un vincente, con lui o migliori o muori. La sua Inter…”
Le parole dell'ex bianconero: "Un pregio di Conte è che non guarda mai né la carta d’identità, né il nome di un giocatore. Gli interessa solo come lavori e come ti alleni"
Partiamo dal principio.
«Conte mi voleva già a tutti i costi al Siena. Ma avevamo appena vinto la cadetteria col Cesena e io, dopo essermi meritato la Serie A, volevo proprio giocarla. Rifiutai l’offerta e l’anno seguente mi volle comunque fortemente alla Juventus».
Nonostante allora lei non avesse mai giocato in un top club.
«Ricordo quando entrai a Vinovo: c’era ancora il cognome di Nedved sul mio armadietto. E a fianco avevo Del Piero. Ero arrivato in un’altra dimensione, stavo realizzando un sogno. Un pregio di Conte è che non guarda mai né la carta d’identità, né il nome di un giocatore. Gli interessa solo come lavori e come ti alleni. Chi merita, gioca. È bravo nel trasmettere la sua massima fiducia ad ogni singolo elemento della rosa».
È vero che è un martello?
«Ti porta oltre il limite, pretende il massimo in qualsiasi allenamento e dopo ogni risultato. La sua è una mentalità vincente, quella che da giocatore aveva alla Juventus e che oggi trasmette ai suoi atleti. I campionati non si vincono con 10 partite, ma con 30. Non è facile affrontare ogni gara con la giusta determinazione. Conte non ti fa mai abbassare la concentrazione e non esistono cali di attenzione. Così vai ovunque dando sempre il massimo».
Ci sono similitudini tra quella Juve e l’Inter attuale?
«Quest’anno è diverso rispetto al nostro. I nerazzurri avevano già costruito qualcosa nella scorsa stagione. Possedevano già maggiore consapevolezza e forza. E nello scontro diretto con i bianconeri hanno dato spettacolo».
Si può dire che Darmian sia il Giaccherini dell’Inter?
«Ha fatto quello che io avevo fatto alla Juve. Arrivato in sordina per i media, è risultato decisivo. Conta l’importanza del calciatore nello schema di gioco dell’allenatore».
Molti i meriti di Conte.
«Sta tutto nell’allenatore e nella gestione del gruppo. Tutti danno il massimo, anche chi non gioca e può essere incazzato, lavora sodo e si fa trovare pronto quando arriva il suo momento. È successo a me, come a Darmian. La bravura del tecnico è proprio di instaurare questo rapporto di fiducia anche con i giocatori meno utilizzati, questo fa la differenza. Lui dà tantissima importanza a chi gioca meno. Sono questi calciatori a far lavorare bene durante la settimana i titolari».
L’importanza della testa.
«A me alla Juventus era capitato di non giocare anche per cinque partite di fila. Ma mi sentivo importante. Conte mi coinvolgeva. E quando venivo chiamato in causa, rispondevo presente».
E qui si ritorna a quanto siano fondamentali gli allenamenti.
«Con Conte o migliori o muori. È determinante nella maturazione di un calciatore. Un allenatore che ti fa tirar fuori cose che manco pensi di avere».
Cosa pensa delle critiche al gioco dell’Inter?
«Non è mica semplice trovare una squadra che stravinca e diverta. L’Inter quest’anno ha giocato tante partite bene, altre un po’ meno, badando di più al risultato. Ma vale quello che verrà scritto sull’albo d’oro, chi sarà campione d’Italia».
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