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"Teatro, scrittura, palcoscenici letterari: Gianfelice Facchetti, figlio di Giacinto, incarna perfettamente lo spirito interista: «C’è una predisposizione letteraria negli interisti, uno spirito critico, una sete di conoscenza che mi hanno sempre colpito perché li porta, anche nei momenti più bui e difficili, a guardare con interesse a ogni libro, a ogni pubblicazione che riguardi la storia della loro squadra». Gianfelice ha scritto un bellissimo libro, "Se no che gente saremmo", fa teatro e collabora con la Domenica Sportiva e Il Corriere della Sera. Inoltre ha scritto e curato i testi contenuti nel libro dedicato ai 110 anni di Inter (edito da Skirà): «Lavorando a quell'opera ho scoperto che già dall’atto della fondazione l’Inter è sempre stata una squadra all’avanguardia. Nasce non per lotte di potere, ma perché una quarantina di dissidenti vuole aprire le porte agli stranieri. Cosa che causa un cortocircuito e la scissione dal Milan. Da cui il nome: Internazionale».
"Tema sempre attuale... «Certo: la conferma che si tratta di un club sempre in anticipo sui tempi e che prima degli altri si fa portavoce di idee innovative e rivoluzionarie. Senza perdere mai l’occasione di lasciare un segno indelebile nel tempo in cui vive. Come quando nel 1909-1910 vince il primo torneo che assomiglia a un vero Campionato o cento anni dopo fa l’en plein portando a casa in una volta sola scudetto, Coppa Italia e Champions League ».
"Il primo ricordo: «Si riferisce non allo stadio, ma al luogo in cui l’Inter si allenava. Avrò avuto 3 o 4 anni e per la prima volta mi trovavo vicino a veri giocatori. Li vedevo giganteschi, invulnerabili, eroici, ma nello stesso alla mia portata perché, come me, giocavano al pallone».
"L'amore per Milano: «Le sono molto legato da quando, dopo i 20 anni, mi ci sono trasferito ed è diventata un pezzo del mio cuore. Perché Milano è una città che ti accoglie, ti ospita e ti promuove. Accadde a mio padre quando da Treviglio andò ad allenarsi nel campo di via Rogoredo e lì incontrò Giuseppe Meazza che lo scelse. E si ripetè nel 2006, ai suoi funerali. Lui non aveva mai abitato qui, ma i milanesi lo consideravano uno di loro. Quel giorno si respirava un forte senso di gratitudine e di compostezza. Era toccante vedere che pur in mezzo al traffico, alla frenesia del lavoro una parte della città riusciva a rallentare e che molti milanisti erano venuti a salutarlo. Un ricordo che conservo gelosamente: l’immagine di una città resa grande dalle sue due anime calcistiche. Anche se rivali».
"(Corriere della Sera)
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