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Giletti: “Spiace che Marotta sia andato proprio all’Inter. Ronaldo? Il vero è il portoghese”

Le parole del noto conduttore, tifoso bianconero

Marco Astori

Nel corso di un'intervista concessa ai microfoni de La Gazzetta dello Sport, il noto conduttore tv e tifoso della Juventus Massimo Giletti ha parlato in vista della sfida di questa sera tra i bianconeri e l'Inter.

Giletti, come farà senza il rendez-vous prima delle partite con Beppe Marotta?

«Una grande perdita: era un momento di amicizia e convivialità, ma anche un rituale vincente. Dovrò inaugurarlo presto con Fabio Paratici. Inutile nascondersi, mi spiace che Beppe sia andato proprio all’Inter, gli arci-rivali, ma il rapporto di amicizia non cambierà mai. I nerazzurri hanno preso un grande dirigente, ma adesso per Marotta sarà molto più difficile: va in un club molto più caotico. La Juventus è la Juventus, trova forza granitica nella solidità della famiglia Agnelli. E poi, da Paratici e Nedved, ha comunque manager di altissima qualità».

Gli interisti dicono che il Ronaldo vero è il loro: d’accordo?

«I dati recenti raccontano il contrario... Il brasiliano è stato un grande, ma la vita e gli infortuni lo hanno un po’ piegato. Cristiano è il numero uno, in assoluto, e non parlo dei numeri da fantascienza. L’ho visto allenarsi: da vicino percepisci l’aura. Alza la mano continuamente per chiedere palla: così trascina, trasmette energia».

Può un solo uomo, Cristiano Ronaldo, rimettere Torino al centro delle rotte internazionali? Darle appeal globale e “milanesizzare” la città?

«Certo, ci guardano tutti con occhi diverso ormai, ma Torino, culturalmente, non sarà mai Milano. La mia città vive nell’understatement, ama il profilo basso, mentre i milanesi preferiscono l’esagerazione. Ma Cristiano è... esagerato. È la follia di un momento, la scheggia che scalfisce la nostra razionalità. Ma, soprattutto, è l’idea geniale di un presidente illuminato. Il nostro».

Lei, torinese che ha vissuto a Milano, cosa invidia alla città dell’Inter? E in cosa la città della Juve è inarrivabile?

«Beh, Milano è e più internazionale: le cose succedono lì perché è lì che gira il denaro e tutto scorre a velocità. La storia, invece, la respiri a Torino, capitale dal nobile lignaggio. Nel calcio, però, tutto si capovolge: non esiste niente di più internazionale della Juve. In Afghanistan o in Iraq ho visto maglie bianconere, mai una nerazzurra... E guardate la Juve Night in Nba prima di questa sfida: la mia squadra non è solo una città, ma un Paese che ancora ha qualcosa da dire, l’Italia nella sua eccellenza che guarda al mondo».

Come vive le sfide cittadine, dalle Olimpiadi al Salone del Libro?

«Che rimpianto non aver partecipato alla corsa olimpica, è la miopia di chi dovrebbe guardare al futuro e sognare. E sul Salone, che dire? Raccontano che Torino inventi e poi Milano rubi: non è mai colpa di noi torinesi, ma dei nostri politici».

Un Juve-Inter del cuore?

«Sono sempre partite faticose, scivolose, ruvide. L’anno scorso a Milano il Pipita mi ha dato la gioia più grande di questi anni. A Torino due anni fa la sventola di Cuadrado all’incrocio è stata un brivido».

Allora è l’Allianz il luogo preferito in città?

«È simbolo di eccellenza, ma qualche giorno fa passavo dal Po e osservavo il Monte dei Cappuccini: era illuminato di blu, è stata un’apparizione meravigliosa. Torino era una città sovietica, ma ha saputo rinascere: si è abbellita. Colorata. Anche se preferisco sempre più il bianco e nero...».

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