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La virologa Gismondo: “Tifosi negli stadi? Si può. Ecco con quali regole”

Daniele Vitiello

Chiara la posizione della professoressa sul tema che riguarda lo sport in generale

Stadi aperti da metà luglio? La posizione di Maria Rita Gismondo, virologa dell’università degli studi di Milano e direttore di Microbiologia clinica, Virologia e Diagnostica delle Bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano, è chiara: «O tutto aperto o tutto chiuso. Le regole per la sicurezza, distanziamento e mascherine obbligatorie, valgono per uno stadio come per gli spettatori dell’Opera. Fermo restando che sono entrambe situazioni che si svolgono all’aperto e che le regole di accesso contingentato sono più facilmente applicabili in uno stadio. Ovviamente in entrambi i casi occorre rigidità massima per le regole. Non si possono concedere né indulgenze né deroghe di vario tipo», ha detto ai microfoni del Corriere dello Sport.

Vale la pena ripetere con quali regole di sicurezza riaprire gli spalti ai tifosi. 

«Mascherine obbligatorie ovunque, niente vendita di cibi e bevande nello stadio, termo-scanner come negli aeroporti internazionali, rigido distanziamento sociale tra gli spettatori, ossia almeno un metro e mezzo ai lati e avanti e indietro attorno a chi è seduto o in piedi, multa a chi toglie la mascherina. Così gli stadi possono esseri aperti subito, con la ripresa del campionato. Se è stato concesso il permesso agli spettacoli all’aperto, perché tanti timori per gli stadi?» 

Altrimenti quando si potrà ripartire con gli stadi aperti? 

«Forse tra un anno, visto che in autunno la pandemia sarà ancora un pericolo e il vaccino non sarà ancora pronto. E’ ora di cominciare a convivere con questo coronavirus attuando regole di responsabilità civile che sono poi quelle dette prima». 

E la paura di tifosi incontrollabili?  

«Occorre un’informazione a tappeto: se ci tenete a vedere il calcio dal vivo si possono evitare cattive abitudini. Anche i calciatori in campo dovrebbero essere simbolo di educazione sociale. Poi, pur andando contro gli istinti umani da animali sociali, in clima di pandemia dovrebbe essere chiaro che non ci si può abbracciare e toccare in caso di gol. È il momento questo di metabolizzare, andando contro la nostra natura, il distanziamento sociale. Dovremmo già mentalmente creare attorno a noi un’area invalicabile di un metro e mezzo. Se c’è l’obbligo della mascherina, con multa se la si toglie, non credo sia possibile sputare». 

Garantendo un distanziamento sociale efficace allora in uno stadio con capienza di 40 mila posti ne dovrebbero entrare solo 8 mila, circa un quinto? 

«All’incirca, comunque mantenere vuoti i posti avanti, dietro e ai lati è una giusta garanzia di sicurezza. I calcoli spettano a chi gestisce queste strutture. Dare numeri limite come si è fatto per lo spettacolo è senza senso, i numeri vanno dati in base alle capienze. All’aperto poi il virus se presente è comunque più diluito nell’aria». 

Vietati i punti vendita di alimentari anche fuori degli stadi? 

«Sì, per evitare agglomerati e persone che mangiano o bevono senza mascherina in poco spazio. Se c’è modo di far rispettare certe regole, uguali per tutti, allora si può vedere se permetterlo. Anche se vado a cena con amici, proprio perché mangiando non posso tenere la mascherina il distanziamento sociale deve essere rigido». 

Insomma, a stadi aperti si può? 

«Sì, casomai la mia domanda è: perché nel calcio non si potrebbe avere un numero contingentato di spettatori? Perché il punto al momento sembra solo questo».