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Gabriele Gravina, unico candidato alle prossime elezioni federali, ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni del Corriere della Sera: «La mia rivoluzione? Di sistema. Nel programma ho giocato con le parole: fede, azione, alleanze. C’è un piano strategico per arrivare in tempi rapidi a una nuova concezione del calcio. Un calcio più equo e sostenibile, il calcio della collettività e non dei singoli interessi. Come detto si parte dalla base, dai giovani, ma anche da una riqualificazione etica e morale. Vogliamo dare subito una scossa».
Deluso da Tommasi, che prima faceva parte dell’alleanza e poi si è tirato indietro?
«Non sono deluso da Damiano, mi spiace però verificare la sua schizofrenia e che sia rimasto sordo all’invito di partecipare al rinnovamento. La sua scelta è un atto immorale».
Presidente, si troverà un c.t. scelto da altri.
«In condizioni generali sarebbe stato opportuno che certe decisioni fossero rimandate. Ma quella dell’allenatore della Nazionale non si poteva rinviare. O, per meglio dire, si poteva fare se il commissariamento fosse stato breve. Ma non è stato così…».
Ma lei cosa pensa di Mancini?
«È un bravo tecnico chiamato a gestire una situazione difficile sia perché non c’è una governance, sia perché la rosa a sua disposizione non è più quella di un tempo. Ma è preparato e dispensa tranquillità. Ora bisognerà assisterlo».
Mancini, ultimo c.t. della lista, si lamenta dei troppi stranieri in serie A.
«Un problema serio di non facile risoluzione. Ci sono delle leggi e non possiamo cambiarle. Credo che l’ostacolo vada aggirato cercando di produrre i talenti in casa».
La Nazionale è l’asset più importante della Federcalcio. Si parla della riforma del Club Italia.
«Inteso proprio come un dosponibilità, che c’è ed è reale, si scontra con i parametri economici. Non so se sarà un matrimonio possibile…».
Arriverà Beppe Marotta?
«Sarebbe il profilo giusto perché stiamo parlando di un grande dirigente a livello europeo. Ci siamo confrontati e ho potuto verificare di persona il suo interesse. Ma la disponibilità, che c’è ed è reale, si scontra con i parametri economici. Non so se sarà un matrimonio possibile…».
Gravina cosa vorrebbe portare di suo nella Federcalcio?
«Vorrei traslocare lo spirito imprenditoriale. Sono nel calcio da trent’anni, partito dalla terza categoria. Il mio Castel di Sangro è stato un modello gestionale universalmente riconosciuto. Ma da dirigente credo di averlo dimostrato da presidente della Lega Pro e da capo delegazione nelle varie Nazionali. È stato un grande orgoglio aver vinto una medaglia olimpica dopo 60 anni».
Cosa ne pensa della Var che tanto fa discutere?
«È stata un’ottima intuizione che ha ridotto gli errori. Va migliorata e incentivata, magari proponendo due chiamate a squadra per partita. Ne parleremo con Nicchi. Quello della Var non può essere un processo statico».
Con Lotito siete agli antipodi.
«È intelligente, conosce il calcio e ha ottenuto grandi risultati. Però abbiamo visioni completamente diverse: io scelgo sempre l’interesse generale»
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