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Guardiola: “Sacchi esempio di educazione e stile, ho imparato tanto da lui. Contro l’Inter…”

Matteo Pifferi Redattore 

"Oggi vedo un calcio italiano più propositivo, tanti allenatori preferiscono attaccare piuttosto che aspettare l’episodio o l’errore dell’avversario"

Esce oggi in edicola per Cairo Editore 'Il realista visionario - Le mie regole per cambiare le regole', scritto da Arrigo Sacchi. La prefazione è di Pep Guardiola e La Gazzetta dello Sport ne pubblica un estratto:

"La prima volta che lo vidi era il 1987, io ero un ragazzino dell’Accademia del Barcellona. Il Milan era venuto a giocare in Catalogna per il ritorno del secondo turno di Coppa Uefa contro l’Espanyol di Javier Clemente. Pochi conoscevano il calcio italiano ai tempi, non erano abituati a vederlo in televisione come capita oggi. E nessuno avrebbe potuto immaginare che quell’anno il Milan, sconfitto dall’Espanyol, avrebbe vinto lo scudetto in Italia. Una cosa però è certa: qualsiasi barcelonista avrebbe fatto presto il tifo per la squadra di Arrigo, che l’anno successivo incontrò il Real Madrid in semifinale di Coppa dei Campioni... Come ciliegina sulla torta, quel Milan sollevò il trofeo proprio al Camp Nou, a casa nostra.

Fino al suo arrivo nel mondo del calcio, l’idea comunemente radicata del calcio italiano nel mondo era: tutti indietro e Dio davanti. Per questo la svolta di Arrigo è contro-culturale. Il suo calcio doveva essere attrattivo, ma anche vincente. E lo è stato... Il suo metodo, al di là dei titoli, è stato studiato da tanti, tantissimi allenatori, me compreso. E quando questo accade significa che hai lasciato qualcosa di molto particolare: la gestione della fase difensiva, il fuorigioco, l’impostazione di una squadra proiettata quaranta metri avanti rispetto a tutte le altre. Era un sistema davvero innovativo. Tutti i giocatori che avevano in mente di diventare allenatori, una volta terminata la carriera, volevano conoscere nel dettaglio i suoi principi. Io ero uno di questi. La prima volta che incontrai di persona Arrigo mi trovavo a Brescia, nel 2001. In quel periodo Sacchi era d.t. del Parma, e riuscimmo a invitarlo a pranzo. Io avrei voluto parlare solo di strategie, ma… passammo più tempo a mangiare che a chiacchierare di linee difensive o schemi! Però per me fu un onore pranzare con lui (e qualche segreto lo portai a casa!). Negli anni successivi, quando diventai allenatore del Barcellona, continuammo a sentirci ogni tanto per telefono, e questo accade ancora oggi.

Sacchi è anche un esempio di educazione e stile... Ha vinto tanto. Avrebbe potuto vincere anche molto di più, con una carriera più lunga. Ma che cos’è la vittoria, in fondo? Il mio Manchester City ha alzato l’ultima Champions League, e tutti ovviamente ci elogiano. Ma potevamo anche perdere... Io credo che sia importante arrivarci, lottare per essere sempre competitivi..., Noi allenatori abbiamo il dovere di far capire ai ragazzi che non si è bravi solo se si vince. È molto difficile, oggi, vista tutta la pressione che sentiamo addosso ogni giorno. Ma è come con i nostri figli: non possiamo pretendere che ottengano sempre il massimo dei voti, possiamo solo incoraggiarli a mettercela tutta, a darsi da fare. Nella vita son più frequenti le sconfitte che le vittorie... L’importante è trovare qualcosa che ci appassioni, un mestiere da amare, e farlo al meglio delle nostre possibilità. So che Arrigo sarebbe d’accordo. Se si vince, meglio. Se si perde, si riprova. La vita ti dà sempre una nuova opportunità, domani.


Mi piace pensare all’eredità di Arrigo Sacchi, riflessa nei tanti giocatori di quel Milan che sono diventati bravissimi allenatori. Con i grandi è così: ti insegnano qualcosa di speciale... Quanti allievi di Johann Cruijff sono diventati allenatori capaci? È successo perché avevamo imparato davvero a conoscere il gioco, e avevamo capito come intraprendere la nostra strada grazie a un fantastico mentore. Qualcuno, l’approccio di Sacchi, l’ha riproposto anche a distanza di tanto tempo. Oggi vedo un calcio italiano più propositivo, tanti allenatori preferiscono attaccare piuttosto che aspettare l’episodio o l’errore dell’avversario. Vogliono essere protagonisti. Gli scudetti recenti di Milan e Napoli sono stati vinti grazie all’organizzazione, a una filosofia di gioco attraverso la quale i singoli calciatori sul campo si muovono “con la squadra, per la squadra, a tutto campo e a tutto tempo”, per citare alla lettera Arrigo. Se penso a Spalletti, a Sarri, a De Zerbi che sta facendo un lavoro eccezionale qui in Inghilterra, ma anche all’aggressività, al pressing alto e ai movimenti che ha fatto vedere Pioli, ci sono tanti begli esempi che fanno pensare a un futuro luminoso. Non so se Arrigo è ottimista come me, ma senz’altro gli farà piacere vedere che tanti mister, oggi, hanno imparato la sua lezione".


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