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Nell'edizione odierna, il Corriere dello Sport ricorda la persona dell'ex portiere della Grande Inter, Giuliano Sarti, ripercorrendo le fasi più significative della carriera: "La poesia cominciava così. Sarti-Burgnich-Facchetti. Erano tempi di formazioni recitate a memoria. Sempre caro ci fu quel grande portiere. Giuliano Sarti se n'è andato ieri, aveva ottantatrè anni. E' stato una delle eccellenze italiane in un ruolo che molto è cambiato, rimanendo però sempre fedele alla propria natura. Devi parare, il resto è fuffa. Zoff, Buffon, Albertosi, Combi, Sentimenti IV, Zenga, Ghezzi. Nell'eletta schiera di numeri uno, Sarti ci sta comodo.
LE ORIGINI. Era nato a Castello d'Argile, lì dove le province di Bologna e Ferrara si impastano, terzo di cinque fratelli. A scuola ci era andato fino alla quinta elementare, poi la guerra gli aveva storto il percorso della vita. A undici anni girava la campagna in bicicletta per vendere carciofi e limoni, all'epoca considerati prodotti esotici; poi si era messo a vendere semi salati, i “brustolini”, all'uscita dei bar e dei cinema. Era diventato portiere per caso, nei campi spelacchiati e bastonati dal sole della bassa ferrarese. Manca il titolare, chi va in porta? Centese, Bondenese, nove stagioni alla Fiorentina con la vittoria dello storico primo scudetto (più Coppa Coppe e Coppa Italia), l'epopea della Grande Inter, due scudetti, due Coppe dei Campioni, due CoppeIntercontinentali, un biennio e dieci partite alla Juventus a fare da riserva ad Anzolin, poi il tramonto, passati i quaranta, a difendere i pali dell'Unione Valdinievole, che c'è sempre un po' di polvere da togliersi di dosso, dopo un tuffo. Poche, solo otto le presenze in Nazionale.
IL RIVOLUZIONARIO. E' stato un portiere rivoluzionario. Prima di lui: acrobati, saltimbanchi, matti per vocazione, gente che per un applauso si sarebbe fatta spellare. Sostenuto dall'istinto, Sarti aveva invece colto la geometria del calcio, la sua primitiva semplicità. C'è uno che tira, c'è un altro che para. Bisogna mettersi sulla traiettoria. E fare il possibile. Era un freddo, aveva il senso della posizione. La linea di porta era la sua coperta di Linus, raramente la abbandonava. Ad Armando Picchi, libero dell'Inter, aveva detto: «Da dove sei tu in avanti, comandi tu. Da me a te, comando io». Calciava di rado i rinvii dal fondo. Diceva di non avere i piedi buoni per farlo. E' passato alla storia per aver lanciato la moda della calzamaglia. Successe a Glasgow, un mercoledì di coppa, contro i Rangers. Quindici gradi sottozero, un vento che sibilava cattivo. Sarti rimediò un paio di mutandoni rosa di lana, e li indossò. Nicolò Carosio alla radio disse: «E' entrato in campo Giuliano Sarti in calzabraga».
IL DOPO-CALCIO. Ha sempre fumato molto. Sigarette, sigari. Prima, dopo la partita. Persino durante, quando giocava nei dilettanti. «Fammi fare un tiro», chiedeva a quelli che stavano dietro la porta e gli passavano le Nazionali senza filtro. Era un gran giocatore di carte. Scopone, briscola, tressette. Il suo maestro di vita fu Fulvio Bernardini, che lo allenò alla Fiorentina. Per il Dottor Fuffo, «Sarti era già nel futuro». A Firenze abitava in un sottoscala, davanti al cinema Fiorella. Per andare in centro prendeva il tram numero 17. Nel dopo calcio si industriò avviando un'impresa di pulizie industriali. Era arrivato ad avere quasi quattrocento dipendenti. Quando partecipava a gare d'appalto in cui era interessata la Fiat, il suo ex presidente Umberto Agnelli lo rassicurava: «A parità di prezzo ce l'hai tu». Poi diversificò, fondando un'azienda di deratizzazione e disinfestazioni di topi. «Avevo preso un libro per imparare», raccontava, nella sua sapiente ingenuità. Ci sapeva fare. L'azienda qualche anno fa fu venduta per tre milioni di euro.
NELLA STORIA. Era un uomo sereno, pacificato con la propria esistenza, che pure fu segnata dal dolore. Quattro figli, uno, Riccardo, morto giovane, sette nipoti, la compagna di una vita, Pia, che nel 2011 era scivolata nel buio della cecità; Sarti da tempo si era ritirato sulle colline che custodiscono Firenze. Come tutti i grandi portieri, molto ha parato. E qualcosa ha sbagliato. Resterà nella storia la papera che costò lo scudetto all'Inter, il 1° giugno del 1967, a Mantova. Il pallone gli passò tra le mani. In quel preciso istante finì la Grande Inter di Herrera. Nelle foto d'epoca la sua figura elegante - con il completo nero - si staglia imperiosa nella luce antica che annacquava quelle domeniche di sole anni '60. Senza guanti, si parava così. Le mani dei portieri della generazione di Giuliano Sarti raccontano la storia dell'Italia, quando si andava in campo e incontro alla vita a mani nude".
(Fonte: Corriere dello Sport 7/6/17)
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