Molte strade camminano verso la vetta dello scudetto. Alcune ripide, altre morbide. Una via esatta per definizione non esiste: piuttosto, in genere, a sopravvivere sono le soluzioni che, semplicemente, funzionano. E solo quelle saranno accolte come giuste. Del turnover, ad esempio, ogni allenatore ha un’opinione: però soltanto pochi eletti hanno scoperto la ricetta della felicità. Maurizio Sarri, per dire, non lo sopporta. Dev’essere una questione personale. A Napoli, negli anni, ha costruito un’intelaiatura solida: e le ha posato l’abito della squadra, stabilendo di fatto una e una sola formazione. Secondo il Messaggero, infatti, nel campionato in corso, addirittura otto azzurri hanno raccolto almeno 11 presenze. Anzi, cinque giocatori – vale a dire Allan, Hamsik, Callejon, Mertens e Insigne – hanno giocato tutte le 12 partite andate in scena. Insomma il nucleo della squadra è solido ed evidente nel profilo. Tanto che è impossibile non registrare la frammentazione dei minuti concessi agli altri elementi della rosa: per capirsi, sei di loro hanno totalizzato la nullità di 100’ o poco meno.
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il Messaggero – Lotta al vertice con e senza turnover: Inter e Napoli lo usano di meno
I giallorossi e la Juventus lo usano. Sarri e Spalletti lo ignorano ma per ora i risultati non cambiano
Più oltranzista di Sarri è Luciano Spalletti. Del resto dieci giocatori dell’ Inter sono scesi in campo in tutte le partite, o quasi. Si direbbe, quindi, che il tecnico nerazzurro abbia voluto disegnare il perimetro di un gruppo di titolari: e soltanto all’interno di quelle linee abbia seminato ciò che dovrà fiorire in primavera. E va annotato che a Miranda, Handanovic, Skriniar e a Perisic è stato perfino concesso il privilegio di aver giocato tutte le partite. In una posizione intermedia galleggiano le teorie di Simone Inzaghi. Perché la Lazio dondola tra la certezza di cinque giocatori fissi e l’imprevedibilità dei rinforzi. Giusto Strakosha, Radu, Lulic, Immobile e Luis Alberto sono i cardini della formazione: gli altri ruotano, distribuendosi le briciole della torta. Sulla sponda opposta vanno la Juventus e la Roma. Max Allegri e Eusebio Di Francesco, in fondo, viaggiano su sentieri paralleli. Non hanno eletto un undici stabile: ma, un po’ per necessità, un po’ per una forma di inquietudine, forse avvitata a una continua ricerca della perfezione, avvicendano volentieri, le proprie pedine. Solo Alisson e Dzeko, tra i giallorossi, sono stati scelti in tutte le gare di Serie A; unicamente a Higuain, Dybala, Lichtsteiner e a Mandzukic è capitata la stessa sorte in bianconero. Certo, le differenze ci sono. Planato a Roma da qualche mese, Di Francesco cerca ancora un assetto risolto – senza però troppo soffrire le seccature legate all’urgenza. Invece Allegri ha capito
che per tener vive le motivazioni della Juventus e, chissà, le proprie, deve per forza –o con la forza – inventare. E inventare qualcosa di nuovo, magari di bello, di sicuro capace di ossigenare le menti.
È logico che spesso l’adottare il turnover sia un gesto intrecciato agli impegni europei. E, del resto, non è un caso che l’Inter, disponendo di settimane vuote di coppe, non lo abbracci tra le proprie consuetudini. Allegri e Di Francesco, comunque, dopo le partite di Championscambiano in media quattro uomini. Al contrario, tetragono a tutte le ipotesi di rotazione, Sarri non solo non cambia: ma nemmeno cede ai minimi slittamenti. Ad essere esatti, le sostituzioni che (si) concede sono: Jorginho e Allan per Diawara e Zielinski. Non di meno, mai di più. Il suo piano, in fondo, è di una brillantezza infinita – ed è questo: allineandosi a un’idea di controllo assurda, ripete gesti e uomini soffocando ogni variante nella certezza che la replica offrirà un perfezionamento e, dunque, i frutti del successo. Be’, ambizioso, no?
(Fonte: Benedetto Saccà, il Messaggero 7/11/17)
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