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Il Sole 24 Ore: “L’addio di Zanetti: lo sconosciuto diventato leggenda”

Alessandro De Felice

Era arrivato all’Inter da sconosciuto, come un osso da brodo aggiunto alla carne pregiata di Sebastian Rambert: un attaccante di cui si è persa la memoria e che in nerazzurro ha giocato due sole partite senza segnare. L’altro,...

Era arrivato all'Inter da sconosciuto, come un osso da brodo aggiunto alla carne pregiata di Sebastian Rambert: un attaccante di cui si è persa la memoria e che in nerazzurro ha giocato due sole partite senza segnare. L'altro, l'osso da brodo al secolo Javier Zanetti, è invece diventato una leggenda. Dell'Inter ha fatto la storia diventando il più vincente di sempre: cinque scudetti, quattro Coppe Italia, quattro Supercoppe italiane, una Champions League, un Mondiale per club, una Coppa Uefa. Al Santiago Bernabeu, nella notte del Triplete, ad alzare la Coppa dalle grandi orecchie c'era lui, con la fascia di capitano al braccio. Quella fascia ereditata da Beppe Bergomi e che l'ha accompagnato per 15 anni: sempre con l'Inter nel cuore.

Ha saputo superare delusioni cocenti: la finale di Coppa Uefa persa in casa ai rigori con lo Schalke 04 nel 1997, il campionato del 2002 con il "maledetto" 5 maggio. Le ha superate vincendo: la Coppa Uefa l'anno dopo, nel 1998, a Parigi contro la Lazio regalando ai tifosi il gol del due a zero con un missile terra-aria scagliato da fuori area. Gli scudetti a partire dal 2006, con un filotto che si sarebbe chiuso solo nel 2010.Amato dai tifosi nerazzurri e rispettato da quelli avversari, Zanetti è stato per tutti un esempio di lealtà, di serietà, di impegno. L'allenamento è sempre stato il suo credo: al punto di farsi una corsa, per non perdere il ritmo, anche il giorno del matrimonio con Paola, la donna che lo ha accompagnato fin da quando, diciottenne, militava nelle fila del Talleres.Un rapporto infinito e profondo, dal quale sono nati i tre figli Sol, Ignacio e Tomas. Un rapporto che ha dato vita anche alla fondazione Pupi, a sostegno dei bambini poveri e disagiati: chi ha provato a lavorare come muratore, postino e ragazzo del latte per aiutare la famiglia, alzandosi alle quattro di mattina, non dimentica. Mai.

L'hanno soprannominato "el tractor", il trattore, per l'incredibile potenza che sprigionava quando partiva palla al piede bevendosi gli avversari uno dietro l'altro. Un trattore che, da ragazzino, era stato fermato per un anno a causa di un fisico troppo debole.Legatissimo a Giacinto Facchetti, riuscì a strappargli un sorriso pochi giorni prima che la malattia lo portasse via, portandogli in ospedale la Supercoppa italiana che gli aveva promesso.Perché le promesse, Javier Zanetti, le ha sempre mantenute. Quando giurava che non avrebbe mai lasciato l'Inter, quando diceva che gli infortuni (solo tre in tutta la carriera) non lo avrebbero fermato. Provate voi, a quarant'anni compiuti, a ricominciare da capo dopo aver subito la rottura del tendine di Achille.Ha giocato in ogni zona del campo, in difesa e a centrocampo, perché se l'Inter aveva bisogno non poteva rispondere con un no. L'ha sempre fatto da campione, da "tractor". Era l'uomo ovunque, il jolly da giocare in ogni situazione, l'arma in più da spostare come una pedina anche nel corso della stessa partita.

Adesso, a 41 anni compiuti, ha deciso di smettere. Basta con le corse sfrenate sulla fascia, basta con i tackle, basta con gli scontri duri ma sempre leali. El tractor spegne il motore, la bandiera viene ammainata. Dal prossimo anno non sarà più in campo e, inevitabilmente, San Siro sembrerà più vuoto. Anche per gli avversari.P.S. Con 145 presenze Javier Zanetti detiene il record di gare disputate nella Nazionale Argentina. Il nonno, Paolo Zanetti, era di Sacile, dalle parti di Pordenone. Sarebbe stato benissimo anche con la maglia azzurra.