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IlGiornale – Milano rialza la testa. Mancini dà  la carica e non si nasconde…

La carica di Roberto Mancini. Sereno e deciso tra una battuta e una puntura. Così l’allenatore dell’ Inter alla vigilia dell’esordio in campionato a San Siro contro l’Atalanta. Sarà la voglia di fare sul serio, di mettersi alle spalle...

Francesco Parrone

La carica di Roberto Mancini. Sereno e deciso tra una battuta e una puntura. Così l’allenatore dell’ Inter alla vigilia dell’esordio in campionato a San Siro contro l’Atalanta. Sarà la voglia di fare sul serio, di mettersi alle spalle una volta per tutte la delusione dell’ultima stagione, che gli fa cinguettare: «Si ricomincia, buon campionato a tutti». Il Mancio raccoglie l’invito della curva, appeso fuori dai cancelli della Pinetina: «La società c’è, noi come sempre ci siamo… Ora tocca a voi». Lui non si tira indietro: «Siamo l’Inter, l’obiettivo è lo scudetto».

Non sono parole di circostanza, il Mancio ci crede. Anche se per ora è «la mia Inter per come lavora», nei nomi non ancora. Le percentuali sulla forma non sono rassicuranti: «Siamo al sessanta per cento». Forse pochino, lo diranno Atalanta e Carpi. Deve bastare. Poi dopo la sosta si cambierà marcia e probabilmente faccia. Perché mancano quattro tasselli che dovrebbero arrivare da quel mercato «che a campionato iniziato è una rottura, avrei preferito avere la squadra al completo dall’inizio». Intanto Perisic ha giocato ancora nel Wolfsburg, ma siamo alla stretta finale. E anche le voci degli osservatori, tra i quali c’è chi «sa di calcio e chi meno», sanno essere fastidiose, dopo un’estate in cui non sono mancate critiche per le deludenti amichevoli. Mancini va dritto per la sua strada perché non sono quelli i risultati da guardare perché «a volte si fanno cose senza pensare per capire le situazioni di gioco». E poi se fosse stato per lui avrebbe tenuto Shaqiri e Kovacic sacrificati in nome del fair play finanziario. E puntualizza che non ha sacrificato il croato per Kondogbia, nessun cambio filosofico ma «non si potevano vendere le sedie della Pinetina. C’è un accordo con l’Uefa, servivano entrate». E il mercato di gennaio smantellato non è sinonimo di «mancata programmazione» e se si dice che abbia dei dubbi su Montoya allora gli osservatori «si chiedono troppe cose. Da fuori è facile parlare».

Dalle parole meglio passare ai fatti. Per Mancini dopo il ritorno all’Inter dello scorso novembre è una stagione verità. Il primo a finire in discussione sarebbe lui in caso di annata ai margini delle posizioniche contano, cioè scudetto e Champions. E se Thohir dice che il miglior acquisto è stato proprio l’allenatore, lui ringrazia ma ricorda che «la miglior garanzia di successo sono i giocatori». È anche vero che le squadre le costruiscono gli allenatori e lui da queste parti ha gettato le fondamenta «per un gruppo che ha vinto tutto». Quello del Triplete. Lo dice, tanto per ricordarlo anche agli osservatori, ma soprattutto per ricordare «che serve tempo». E anche il lavoro fatto «l’anno scorso servirà». Non si butta via nulla, neanche gli errori «perché non hanno sbagliato solo Ranocchia e Juan Jesus».

Inizia il rodaggio e il campionato si assesterà dopo «otto-nove giornate». Parola di Mancini che se ne va con due battute: «Avevo chiesto nove acquisiti? Se ne arrivano dieci o undici va bene lo stesso». E quando già ha salutato per andare a preparare la rifinitura aggiunge: «Ah, comunque domani (oggi, ndr) giochiamo con l’Atalanta». Lo dice non a caso. L’Inter deve essere brava fin da subito per pensare «allo scudetto che dipenderà da noi stessi» dice Mancini. E’ un’investitura tricolore.