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È finita con la maglia numero 18 fra le mani. Diciotto come il numero di anni all’Inter e non come 8 più 1 che poi era il suo numero da giocatore fuori campo. Gliel’ha regalata Thohir passando dal signing al closing al cambio della guardia che non è proprio un the end. Massimo Moratti ha chiuso nello stile Moratti: con signorilità, quel pizzico di romantico intimismo che ha distinto il suo rapporto con l’Inter e con i tifosi, trovando tutti simpatici (chi mai saprà dirlo così bene?), avvolto in una nuvola di melanconia, con l’aria stanca di chi ha un po’ sofferto nello staccarsi dall’amato bene ma ormai convinto della scelta. Sarà presidente onorario. «Un modo per essere ancora utile e vicino», ha raccontato. Ma fuori dal consiglio di amministrazione. «C’è mio figlio in una posizione importante».
Sono state più foto che parole in questo passaggio di consegne che Moratti ha distillato nel tempo.«Avevo già fatto capire quale sarebbe stata la scelta. È giusto che sia presidente chi si prende un incarico così pesante, di prestigio ed esprima autorità nella società. Thohir e i suoi amici hanno insistito con me e mio figlio, ma non sarebbe stato corretto avere una responsabilità e che i rischi fossero sulle spalle di un altro». Moratti è sceso dalla nuvola sulla quale è rimasto in diciotto anni di tifo e amore, passione e disillusione, errori e colpi da campione. Ora ha scelto Thohir. Ma...chissà...Visto il numero di allenatori e dirigenti che ha pescato e scartato, per non parlare dei giocatori (128), difficile capire quanto stavolta possa averci preso. Faticoso spiegare e giustificare, anche a se stesso, soprattutto guardandosi nello specchio alla mattina, questo distacco.
Il patron ha vissuto l’Inter come una cosa dei tifosi, per i tifosi, ma gestita dal suo istinto e dalla passione. Se Angelo ha dato vita all’Inter dei grandi successi, Massimo Moratti ha dato una vita per l’Inter, fin da piccolo. E nessuno glielo può negare.«Però - ha ammesso - era giusto avere un socio che portasse novità e avesse nuove ambizioni. Inizialmente è stato visto come un usurpatore, un fatto istintivo. Ma poi bisogna essere pragmatici e lui darà forza alla società, ha progetti, ambizione, serve passare la mano a qualcuno che abbia la sua vivacità. Ha l’entusiasmo dei Paesi in crescita che vedono questa cosa come un gioiello». L’Inter come gioiello è l’ultima parola d’amore di questo Moratti ieri un po’ ingrigito, mentre la signora Milly si lamentava del burocratico modo di intendere le conferenze stampa. Strano per due comunicatori come il vecchio e il nuovo patron.
Il nuovo si farà conoscere cammin facendo, il vecchio continuerà a raccontare sotto l’ufficio dell’amore suo calcistico. Lo ha fatto intendere: «Certamente non sono escluso dalla vita della società, lavoreremo assieme per una costante costruzione del futuro. Magari ora mi sentirò più libero nelle mie espressioni nei confronti degli arbitri...». Eccolo il guizzo finale. Moratti conosce l’animo del tifo e del tifoso, il bello il brutto del pallone. Lo rivedremo ancora là, sulle barricate a difendere la squadra per un rigore maldestro o per un gol sbagliato. Presidente onorario? In fin dei conti un presidente che si è fatto onore.
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