ultimora

ilGiornale – Non è più l’Inter. San Siro, fischi e silenzi. Il flop mette tutti zitti…

Silenzio e fischi, un refrain di insuccesso. «Sembrava di giocare a porte chiuse» se n’è stupito Mazzarri. Senza domandarsi il perché? Ieri non c’erano altre luci a San Siro. Non certo quelle dell’Inter, del suo gioco, dei suoi gol....

Francesco Parrone

Silenzio e fischi, un refrain di insuccesso. «Sembrava di giocare a porte chiuse» se n’è stupito Mazzarri. Senza domandarsi il perché? Ieri non c’erano altre luci a San Siro. Non certo quelle dell’Inter, del suo gioco, dei suoi gol. Hanno fatto spettacolo solo gli striscioni stesi sulle tribune. Inviti a Thohir («Mai trattare con Rubentus e BBilan»), inviti ai dormiglioni in campo, un silenzio generoso nei confronti dell’allenatore che continua a vedere partite con occhiali da miope. La generosa Inter ha miracolato anche il Catania che, quest’anno, aveva raccolto nemmeno un punto in trasferta: 10 partite 10 sconfitte. Anzi, di più: il Catania non raccoglieva un punto dal maggio scorso (contro il Torino). Per non parlare delle vittorie: mancano dal febbraio 2013.

Mazzarri parla di anno particolare, «un anno rosso» ma anche il suo bilancio è rosso e, per certi versi, da arrossire. Se Thohir un giorno decidesse per il licenziamento non dovrebbe stupirsene. Ma forse non accadrà: c’è un presidente che bada ai costi e meno ai punti. Licenziate l’Inter da questo campionato, non l’allenatore: c’è chi nasce per resistere e chi per essere cacciato. L’Inter di ieri è stata desolante nel momento in cui a Thohir deve essere sfuggito di chiedere a Moratti che gli sedeva vicino: quale è l’Inter fra le due squadre? Se non ci fosse stata la diversità di maglia, c’era il rischio di non capire. Sul campo non c’era differenza fra la squadra ultima in classifica e quella che ancor oggi, nonostante gli svarioni, resta al quinto posto (a 23 punti dalla Juve) pur avendo troppe squadre alle calcagna, compreso il Milan che le ha rosicchiato 7 punti in quattro partite. 

Si parla di gioco e di mediocrità dei calciatori. Nemmen pensare al talento. Inter con gioco approssimativo, spesso senza ritmo e troppi uomini da museo delle cere, l’immobilismo attendista nel calcio se lo possono permettere solo Pirlo e pochi altri. Il Catania è stato sparring partner per almeno un tempo, poi ha capito che l’Inter era proprio quella, quella vista nelle ultime dieci giornate: terreno di conquista per tanti. Certo, ha prodotto qualche occasione da gol, ma pure i soliti rischi difensivi che fanno parte del Dna (Bergessio e Rinaudo hanno aperto il secondo tempo calciando a lato). Tutto condito da un senso di impotenza che ha zittito San Siro. Mazzarri ha cambiato la squadra sia nella filosofia, sia nel modulo, sia nelle idee in novanta minuti. È partito con un classico: Palacio e Milito assistiti da Alvarez poi, grazie al’infortunio di Cambiasso e alle pecche di Kuzmanovic, si è ritrovato con la miglior Inter possibile, risultante dalla campagna acquisti di quest’anno ed anche con sguardo al futuro: Kovacic, Alvarez, Taider a centrocampo, Milito e Palacio in avanti, dietro la difesa in assoluto più affidabile. Per poi chiudere con un quartetto giovanile, integrato da Botta, ed una difesa a quattro. Si è visto di tutto e si è visto niente. Forse sarebbe il caso di cominciare a pensare davvero al futuro ed accantonare le vecchie glorie: provare tutti i giovani per 3-4 partite.

L’Inter ha sfiorato il gol con Milito nel primo tempo (ottimo Frison), almeno due volte con Palacio nella ripresa. Però, al tirar delle somme, la conclusione più pericolosa va assegnata al colpo di testa di Rolando che, sul finire della ripresa, ha costretto Frison alla parata più difficile. La replica dell’Inter, contropiede impostato da Palacio e non concluso da Milito, è stato il segnale che anche questa domenica avrebbe prodotto fegato amaro alle gente. Qualcuno penserà pure a una trattenuta (primo tempo) di Bellusci su Campagnaro, ma sono solo alibi. Stavolta c’è rimasto malissimo pure ET, i vicini di sedia lo hanno descritto affranto. Avrà capito che il suo vicino, Massimo Moratti, gli ha regalato più grattacapi di quanto siano i conti in passivo. E forse un allenatore rimasto a Napoli e al suo Napoli. L’Inter è un’altra cosa, in tutti i sensi.