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La richiesta di obbligo di riscatto e i paletti del Fair Play Finanziario: si spiega anche così il mancato arrivo di Pastore all’Inter. I nerazzurri ci hanno provato, ma una trattativa che sembrava fattibile per la netta apertura del giocatore, non si è mai potuta concretizzare. Il Psg fino all’ultimo non ha tolto la richiesta di obbligo di riscatto, un fattore che l’Inter non poteva accettare per non scalfire i conti in vista del pareggio di bilancio da raggiungere entro il 30 giugno 2018 e rispettare così per il terzo anno consecutivo il settlement agreement con la Uefa. Pastore sarebbe costato all’Inter circa 12 milioni per 16 partite in quattro mesi (7 per il prestito oneroso, 5 per l’ingaggio lordo), più altri 25 per il riscatto entro giugno: un’operazione da 40 milioni, senza un paracadute.
L’Inter il 30 giugno per la Uefa dovrà chiudere a zero il bilancio. I nerazzurri devono ancora rientrare di circa 50 milioni, soldi che il club confida di ottenere con sponsorizzazioni, gli incassi del botteghino, un paio di cessioni a giugno (il riscatto di Kondogbia a 25 milioni?) e magari i premi per la qualificazione alla Champions. Non rientrare nei parametri, potrebbe costare all’Inter nuove sanzioni. Suning ha permesso acquisti per oltre 120 milioni nel 2017, ha dato un budget per la stagione ’17-18 e da lì non si è smossa per cercare di non mettere a rischio i conti. L’Inter sarà ancora sotto stretto monitoraggio per il FPF anche per il ’18-19, ma dopo tre stagioni in regola, avrà maggiori margini di manovra sul mercato. Senza contare la volontà di investire 100 milioni per creare il nuovo centro sportivo per il vivaio.
(Tuttosport)
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