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Dopo la sconfitta con il Genoa, l'Inter è finita al quinto posto, fuori dalla zona Champions. I tifosi cominciano a dubitare della proprietà cinese e rimpiangono i tempi in cui c'era un presidente italiano, presente e conosciuto (Massimo Moratti), che non badava a spese e cercava di rimediare agli errori. Poco importa se spesso lo faceva con altri errori: i tentativi sono sempre buone tracce nella memoria dei tifosi. Il paradosso è che il sentimento cieco di Moratti è stato la prima causa del Fair Play Finanziario che da anni costringe l’Inter al risparmio: una gestione vincente, ma malsana. Il problema è che non sembra efficace nemmeno la gestione opposta, quella fredda di Suning. Così fredda da non scomodarsi per un commento nemmeno di fronte alla crisi in cui è scivolata la squadra, che in due mesi ha perso 18 punti dalla Juve e dal Napoli e se ne è fatti rimontare 11 dal Milan. E il guaio è che il silenzio da sempre è una grande cassa di risonanza, sia per la musica delle vittorie che per il rumore delle sconfitte.
Ma se nel primo caso è buona cosa tacere, nel secondo sarebbe meglio parlare, per riempire il vuoto in cui riverbera il frastuono. Ma chi parla nell’Inter? Non può farlo il logo di una catena commerciale cinese. Né un presidente nominale - Thohir - che non detiene la maggioranza e bada da tempo ad altri (i suoi) interessi, né il figlio 26enne del padrone - Steven Zhang -, e neppure un qualunque dipendente, che è parte della crisi ed è colui che dovrebbe essere giudicato. Ausilio fa il direttore sportivo, il suo compito è parlare di mercato, al limite spiegare perché la squadra è rimasta quasi la medesima dopo una stagione mediocre e ora si ritrova nella stessa crisi e con gli stessi problemi tecnici e mentali.
(Libero)
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