Oggi, invece, gli elvetici mettono paura.
«Si fanno rispettare, lo dice la storia. Nel 1954 la Svizzera ci fece fuori dai Mondiali battendoci per due volte nel girone iniziale: 2-1 nella prima partita, 4-1 nella seconda. E poi due anni fa la Svizzera ci ha costretto a quello spareggio malefico contro la Macedonia».
Non porteranno un po’ sfiga?
«Dobbiamo prestare molta attenzione, oggi a Berlino».
Sarà dura?
«Resto ottimista perché l’Italia vista nel finale contro la Croazia è stata sinceramente una buona Italia».
Che stava per rischiare il flop, però.
«Nel calcio gli episodi contano e quella magia di Zaccagni aprirà strade inedite».
A Coverciano come avevate visto la nazionale, lei e gli altri favolosi 10?
«Bene. Spalletti è un allenatore che lavora molto sulla tattica ma anche sulla testa».
Come avete caricato gli azzurri?
«Con poche parole, solo qualche aneddoto sulla nostra storia in azzurro: è stata una visita simbolica ma spero incisiva».
Che modulo suggerisce a Spalletti?
«Il 3-5-2. La difesa a tre funziona benino e i cinque in mezzo proteggono a dovere».
Domani da chi guardarsi per arrivare nei quarti di finale?
«Si deve prestare attenzione alla connection bolognese. Aebischer, Ndoye e Freuler formano un nucleo reso solidissimo dal gioco di Thiago Motta.
Ma il migliore della Svizzera è un altro».
Ovvero?
«Xhaka. Lo voleva Mourinho a Roma ed è il perno del Leverkusen. Attorno a lui gira tutta la squadra elvetica».
Sarà anche un duello fra portieri: Sommer contro Donnarumma.
«Calma, Gigio è Gigio...».
Loro chi dovranno temere degli azzurri?
«Faccio un nome che potrà essere il nostro asso di briscola: Chiesa. Sinora è andato a corrente alternata ma conosco bene Federico dai tempi di Firenze e mi dicono che in questi ultimi allenamenti sia parecchio pimpante».
L’assenza di Calafiori sarà letale?
«Grave più che letale. È la sorpresissima degli Europei e gioca in tre ruoli, si è visto contro i croati».
Al suo posto?
«Nella difesa a tre Spalletti ha alternative: Mancini e Buongiorno si equivalgono e deciderà Luciano in base agli allenamenti. Mica possiamo dare giudizi sulle condizioni dei giocatori stando sul divano».
Il pericolo a evitare?
«La carica degli svizzeri: loro vivranno questo ottavo come un derby, un duello all’ultimo sangue. Quando sentono parlare degli italiani, gli svizzeri cambiano e si caricano in modo speciale. Il motivo? Lo ignoro ma è così».
Non c’è un Antognoni fra i 26 azzurri, vero?
«Il calcio è cambiato, si va a 300 all’ora e non si ha più tempo per pensare. Io giocavo guardando le stelle perché i ritmi erano diversi e avevo una visione meno frenetica».
Oggi non si rivede proprio in nessuno?
«Un po’ in Barella. Jorginho è più un metodista e gioca 10-15 metri indietro rispetto al sottoscritto mentre Nicolò è un talento libero».
Un rimpianto della sua grande avventura azzurra?
«La finale di Madrid nel 1982. Mi infortunai a un piede in semifinale e provai fino a poche ore dalla finale poi mi arresi. Guardai il 3-1 ai tedeschi da tifoso ma, alla fine, mi sentii campione del mondo anch’io. Questo ho raccontato a Coverciano ai ragazzi».
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