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Italia, Antognoni: “Mi rivedo in Barella. A Spalletti consiglio questo modulo”

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Le parole dell'ex calciatore: "Resto ottimista perché l’Italia vista nel finale contro la Croazia è stata sinceramente una buona Italia"
Marco Astori Redattore 

Intervenuto ai microfoni di Libero, Giancarlo Antognoni, ex calciatore, ha parlato così in vista di Svizzera-Italia di questa sera.

Se le diciamo Svizzera, Giancarlo, cosa le viene in mente?

«Il tramonto della mia carriera. Dopo l’addio alla Fiorentina, chiusi nel Losanna, fu un’esperienza curiosa».

Come trovò il calcio svizzero, alla fine degli anni ’80?

«Scarsino, non all’altezza di quello attuale. Gli elvetici non erano quasi mai presenti a un Mondiale e facevano fatica a qualificarsi all’Europeo».


Oggi, invece, gli elvetici mettono paura.

«Si fanno rispettare, lo dice la storia. Nel 1954 la Svizzera ci fece fuori dai Mondiali battendoci per due volte nel girone iniziale: 2-1 nella prima partita, 4-1 nella seconda. E poi due anni fa la Svizzera ci ha costretto a quello spareggio malefico contro la Macedonia».

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Non porteranno un po’ sfiga?

«Dobbiamo prestare molta attenzione, oggi a Berlino».

Sarà dura?

«Resto ottimista perché l’Italia vista nel finale contro la Croazia è stata sinceramente una buona Italia».

Che stava per rischiare il flop, però.

«Nel calcio gli episodi contano e quella magia di Zaccagni aprirà strade inedite».

A Coverciano come avevate visto la nazionale, lei e gli altri favolosi 10?

«Bene. Spalletti è un allenatore che lavora molto sulla tattica ma anche sulla testa».

Come avete caricato gli azzurri?

«Con poche parole, solo qualche aneddoto sulla nostra storia in azzurro: è stata una visita simbolica ma spero incisiva».

Che modulo suggerisce a Spalletti?

«Il 3-5-2. La difesa a tre funziona benino e i cinque in mezzo proteggono a dovere».

Domani da chi guardarsi per arrivare nei quarti di finale?

«Si deve prestare attenzione alla connection bolognese. Aebischer, Ndoye e Freuler formano un nucleo reso solidissimo dal gioco di Thiago Motta.

Ma il migliore della Svizzera è un altro».

Ovvero?

«Xhaka. Lo voleva Mourinho a Roma ed è il perno del Leverkusen. Attorno a lui gira tutta la squadra elvetica».

Sarà anche un duello fra portieri: Sommer contro Donnarumma.

«Calma, Gigio è Gigio...».

Loro chi dovranno temere degli azzurri?

«Faccio un nome che potrà essere il nostro asso di briscola: Chiesa. Sinora è andato a corrente alternata ma conosco bene Federico dai tempi di Firenze e mi dicono che in questi ultimi allenamenti sia parecchio pimpante».

L’assenza di Calafiori sarà letale?

«Grave più che letale. È la sorpresissima degli Europei e gioca in tre ruoli, si è visto contro i croati».

Al suo posto?

«Nella difesa a tre Spalletti ha alternative: Mancini e Buongiorno si equivalgono e deciderà Luciano in base agli allenamenti. Mica possiamo dare giudizi sulle condizioni dei giocatori stando sul divano».

Il pericolo a evitare?

«La carica degli svizzeri: loro vivranno questo ottavo come un derby, un duello all’ultimo sangue. Quando sentono parlare degli italiani, gli svizzeri cambiano e si caricano in modo speciale. Il motivo? Lo ignoro ma è così».

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Non c’è un Antognoni fra i 26 azzurri, vero?

«Il calcio è cambiato, si va a 300 all’ora e non si ha più tempo per pensare. Io giocavo guardando le stelle perché i ritmi erano diversi e avevo una visione meno frenetica».

Oggi non si rivede proprio in nessuno?

«Un po’ in Barella. Jorginho è più un metodista e gioca 10-15 metri indietro rispetto al sottoscritto mentre Nicolò è un talento libero».

Un rimpianto della sua grande avventura azzurra?

«La finale di Madrid nel 1982. Mi infortunai a un piede in semifinale e provai fino a poche ore dalla finale poi mi arresi. Guardai il 3-1 ai tedeschi da tifoso ma, alla fine, mi sentii campione del mondo anch’io. Questo ho raccontato a Coverciano ai ragazzi».

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