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Jair: “Che squadra la mia Inter! Corso un grande amico. Potevo finire al Milan, ma poi…”

Fabio Alampi

L'ex calciatore brasiliano compie oggi 80 anni

Nel giorno del suo ottantesimo compleanno, La Gazzetta dello Sport ha intervistato il brasiliano Jair, uno dei simboli della Grande Inter.

Lei segue le partite dell'Inter in tv?

"Quando posso le vedo, ma non ci sono tante occasioni. Lukaku? Già lo conoscevo dai tempi del Manchester United. Grande. Centravanti duro, difficile da marcare, buona taglia fisica. Lautaro Martínez? No, non lo conosco. Ma se è all'Inter vuol dire che è bravo. Eriksen? Neanche. Barella? No. Handanovic? Sì, questo lo conosco. Ottimo portiere".

E la sua Inter?

"Squadrone. Giocava un bel calcio, pulito. C'erano Corso, Suárez, il portiere Sarti... Sensazionale".

Corso purtroppo è morto lo scorso mese.

"Eravamo molto amici. Ci siamo sentiti per telefono un mese prima che morisse. Quando l'ho saputo, ho chiamato Bedin, mediano dei miei tempi all'Inter. Ho lasciato solo amici in Italia. Corso è morto di problemi cardiaci. Ma ormai è la vita...".

Uno dei suoi figli è nato in Italia.

"Maurizio, il secondogenito. E di figli ne ho altri tre: Rogério, il più giovane; Carlos Eduardo, che ha provato ad essere giocatore a Garbagnate Milanese, giocando da mediano, e Fernando, il quale è arrivato alle giovanili del Palmeiras. Faceva l'ala sinistra. Oggi sono vecchi".

Come fu lavorare con Helenio Herrera?

"Meraviglioso. Sapeva chiacchierare nel modo giusto coi giocatori. Conosceva il calcio sia dal punto di vista umano che atletico. Ci faceva giocare con lo stile italiano: in contropiede. Gli piaceva il calcio ben giocato. Uscite rapide dalla difesa all'attacco. In fase di impostazione c'erano Suárez e Corso che lanciavano, tutto di prima. Corso era tornante di sinistra tipo Zagallo con la nazionale brasiliana. Il nostro attacco era velocissimo. Io, Mazzola, Domenghini. C'era pure Facchetti, terzino fluidificante. Gambe lunghe: era dura fermarlo. Andavo al ristorante ogni sera con Corso, Facchetti, Suárez. Chiacchieravamo, scherzavamo. Così mi aiutarono anche a imparare l'italiano".

Mazzola diceva: ‘quando non sapevamo cosa fare si lanciava Jair sulla destra ...’

"Ero veloce, dribblatore. Pure Mazzola era rapido: in uno spazio di dieci metri in area dribblava e tirava in porta. Con tutti i palloni che gli arrivavano, metteva sempre a dura prova la difesa avversaria".

Ci racconti il suo gol che valse la Coppa Campioni nel 1965 contro il Benfica?

"Il Benfica era uno squadrone. Eusébio, Costa Pereira, Simões ... Finì 1-0 per noi, sotto un temporale. Campo allagato, il pallone non correva. Il gol lo segnammo con un'azione in contropiede. Diedi il pallone a Mazzola, lui scambiò con un altro compagno, poi scattai, scivolai, caddi ma anche così tirai in porta e il pallone passò tra le gambe del portiere Costa Pereira".

E il rapporto col presidente Angelo Moratti?

"Ci trattava come figli. Invitava i giocatori alle feste a casa sua. Faceva tutto quello che gli chiedevamo. Massimo Moratti era un ragazzo all'epoca. Quando poi lui fu presidente dell'Inter mi invitò a vedere la finale di Champions a Madrid contro il Bayern nel 2010. Allora già mi facevano male le gambe, quindi preferii vederla in TV. Ero in amicizia anche con i brasiliani del Milan, come Dino Sani: abitavo a 500 metri da casa sua. Mi aiutò molto ad ambientarmi in Italia. C'erano pure Amarildo, Altafini. Ma alla settimana del derby il nostro presidente ci avvisava: ‘Domenica c'é il Milan’. E non andavo né a casa di Dino Sani né a quella degli altri brasiliani".

Lei rimase un anno solo alla Roma.

"Stavo da molto tempo all'Inter: era ora di cambiare. Ma dopo un anno tornai a Milano. Proprio quando Helenio Herrera assunse la guida della Roma l'Inter mi ingaggiò di nuovo".

Al secondo passaggio all'Inter Heriberto Herrera ebbe problemi con la squadra. Tolse anche lei dalla formazione titolare.

"Aveva un rapporto più freddo con i giocatori. Comunque era pure lui un buon allenatore. Mi tolse, ma io non stavo bene. Poi Invernizzi, tecnico delle giovanili, lo sostituì e vincemmo lo scudetto 1970-71. E la stagione successiva arrivammo in finale di Coppa dei Campioni vinta dall'Ajax di Crujff e Neeskens".

Gli osservatori italiani la scoprirono nel 1962 in Cile alle partitelle della nazionale brasiliana in preparazione di quel Mondiale, vero?

"Esatto. C'erano altri giocatori brasiliani già in Italia tipo Germano al Milan".

È vero che prima di venire all'Inter quasi finì al Milan?

"Dicevano che dovessi andare al Milan, che invece prese un altro giocatore. Non ricordo quale. E allora l'Inter mi ingaggiò".

Chi è stato il più bravo di sempre?

"Pelé. Dopo di lui Garrincha. Pelé era un attaccante che arretrava per impostare il gioco. Prima di addomesticare il pallone già sapeva ciò che doveva fare dopo. Giocai insieme a lui in nazionale e al Santos. Velocità impressionante di pensiero. Garrincha rimaneva sulla fascia destra e quando toccava palla diventava terribile. Un grande dribblatore con quelle sue gambette storte (ride)".

Prima di esordire all'Inter volevano prestarla al Genoa, vero?

"Volevano sistemarmi altrove, non so a quale società esattamente. Ma dissi: ‘No, resto qui lo stesso’. Poi al mio debutto all'Inter battemmo il Genoa per 3-1. E dopo due minuti avevo già segnato".

Lei ha un campo da futebol society (modalità di calcio in cui giocano 7 o 8 per squadra) dipinto di nerazzurro ad Osasco...

"Sì, l'Inter è la squadra che più mi è rimasta nel cuore. Meravigliosa".

Oggi, festeggia il suo compleanno con Verona-Inter...

"Una vittoria andrebbe bene come regalo. Ad 80 anni sto bene di salute tranne per il ginocchio che mi fa zoppicare, ma me la cavo".