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La Stampa – Bernabeu o San Siro, non ce n’è contro la Juve. La vera differenza…

Santiago Bernabeu o San Siro, semplicemente, non ce n’è. È questa la diversità della Juve: non conta il chi, contro chi giochi e con chi giochi. O il dove. Ma come lo fai e come finisce. E i bianconeri, cui pure la partita di ieri poteva...

Francesco Parrone

Santiago Bernabeu o San Siro, semplicemente, non ce n’è. È questa la diversità della Juve: non conta il chi, contro chi giochi e con chi giochi. O il dove. Ma come lo fai e come finisce. E i bianconeri, cui pure la partita di ieri poteva interessare il giusto, anche niente, hanno steso l’Inter che, al contrario, si giocava le ultime chance per l’Europa League. Anche senza Buffon, Chiellini, Vidal, Pirlo, Tevez, tutti componenti fondamentali, sono cambiati i piedi, il possesso palla (37%, minimo stagionale), non l’indole per la vittoria. Certo, alla fine la sera è girata su una papera di Handanovic, e due numeri da Cinque du Soleil di Storari, ma al massimo l’Inter avrebbe meritato il pareggio. Sarà luogo comune demodé, ma la differenza sta nella testa. Bastava sentire Claudio Marchisio alla pausa: «Non è facile restare concentrati dopo aver vinto lo scudetto, ma bisogna farlo. Invece siamo entrati in campo in maniera sbagliata: nella ripresa ci dovrà essere un’altra Juve».

Modello bis Al pronti e via Massimiliano Allegri lascia sul prato quattro reduci del Bernabeu: Lichtsteiner, Bonucci, Marchisio e Morata. Il resto è Juve bis: e questo sarà un altro dato su cui riflettere, per la concorrenza, in vista del prossimo campionato. Se non batti questa squadra in serate così, vuole dire che sei davvero lontano. Nonostante Thohir in tribuna, che si confermerà un amuleto (per il nemico), aveva cominciato meglio l’Inter: gol di Icardi, alla Inzaghi, e tap-in vincente di Brozovic, annullato per fuorigioco (inesistente). Il problema è che la difesa di Mancini ha una lentezza direttamente proporzionale alla distanza con cui tiene la trincea dalla porta: il che può diventare un problema. Soprattutto se da una parte c’è Morata, centravanti moderno, ovunque e comunque, e di più se dall’altra c’è Vidic: allora anche Matri può sembrare Bolt. Peggio c’è solo Medel, con retropassaggio da ritiro della patente, e l’arbitro Doveri sul rigore, invece del rosso pesca il giallo: occasione da gol che più chiara non si può. Porqué?, direbbe Mourinho.

1-2 anche nel 1996...Si dirà: il secondo tempo gira sugli episodi. Già, ma anche sull’istinto famelico bianconero. Più che il gioco, o l’aver la palla tra i piedi, è la capacità della Juve di restare in partita: anche quando va sotto, anche quando pare finita. Il Bernabeu ha solo amplificato questo talento, in eurovisione. Nel mezzo, ci sta anche l’ormai consueto cambio tattico di Allegri (Ogbonna per Lichsteiner e difesa a tre) e il gol sfiorato dall’Inter. Ma poi, chiunque giochi, la vittoria resta nelmirino, e la sfida della vita è sempre quella che stai giocando, dirà Allegri: «La Champions è un sogno e deve rimanere tale, quindi non ci possiamo neanche corrodere il cervello e pensare che dobbiamo giocare contro Messi, Suarez e Neymar. Dobbiamo pensare di giocare contro Klose, Candreva, Keita, Anderson», nemici di Coppa Italia. O pensare all’Inter, ieri. Solo dopo vengono la papere di Handanovic e le magie di Storari. Fino a concedere il replay del 1996, quando tre giorni dopo aver conquistato la finale di Champions, la Juve vinse a San Siro 2-1: si dice che la Storia non si ripete, le stagioni chissà