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Una rivalità che sfiora l’ostilità ha senso finché ci si muove sullo stesso piano. Quando succede, come quest’anno tra la Juve e l’Inter, che i livelli non combaciano, il confronto scade a una ripicca ad uso dei tifosi perché sul campo non lo si può più proporre e lo si è visto fino al 3-0. Ora il divario in classifica è salito a 26 punti: le nemiche giocano in campionati diversi e a correre dietro alle inimicizie e ai preconcetti talvolta si creano dei danni. A rileggere le cronache dei giorni scorsi sull’operazione di mercato abortita perché agli interisti non piaceva lo scambio tra Guarin e Vucinic viene da sorridere: per la Juve attuale il colombiano sarebbe stato un rinforzo superfluo a centrocampo, mentre, a vedere cos’è l’Inter senza una punta da affiancare a Palacio, Vucinic sarebbe stata una vitamina preziosa più dell’ennesimo trequartista, Hernanes, che vedremo dalla prossima partita. Quando Mazzarri ha aggiunto un attaccante, Milito, appena un minuto prima che Vidal segnasse il 3-0, l’Inter ha cambiato faccia e ha provato a rimediare a una partita compromessa instillando persino un certo panico nella Juve nell’ultimo periodo, dopo il 3-1 di Rolando in mischia e qualche occasione sprecata per arrivare al 3-2.
Come sarebbe finita se Mazzarri avesse osato o fosse potuto partire dall’inizio con un attacco più consistente? E la Juve stranamente incerta nel finale davanti al cambio di passo nerazzurro avrebbe potuto fare e disfare il match come le era riuscito per un’ora con una superiorità sontuosa e indiscutibile, fregiata dai gol di difensori e centrocampisti nella sera (la prima dopo tanto tempo) in cui si sono inceppati gli attaccanti? Non lo sapremo mai. Il problema dell’Inter è che Milito non è più in grado di reggere una partita intera ad alto livello, Icardi si è perso tra l’infermeria e il tweet erotico, Belfodil non è mai pervenuto. Ecco perché la tifoseria nerazzurra e chi l’ha assecondata sull’affare Vucinic dovrebbe fustigarsi. Ciascuno fa con la legna che possiede e Mazzarri ce l’ha, non da ieri, bagnata. Se la mettesse sul fuoco colerebbe resina appiccicaticcia e sarà per questa ragione che il livornese si è ben guardato dallo scaldarla alla fiamma di un gioco incandescente. Guardare l’Inter del primo tempo è stato come osservare una scatola di bastoncini Findus: una squadra congelata dall’intenzione di non scoprirsi, fredda nella corsa e nel comportamento, evidentemente convinta che a giocare a football (come pure seppero fare altre creature di Mazzarri) sarebbe stata punita, mentre a difendersi nell’attesa del contropiede giusto c’erano più chances di cavarsela. Fa effetto vedere la squadra campione d’Europa quattro anni fa disporsi con l’atteggiamento di una provinciale. Del resto fa anche effetto vedere che il capitano è diventato Nagatomo: con un presidente indonesiano e con la fascia al braccio di un giapponese la globalizzazione interista è andata forse oltre il consentito. Quanto alla Juve doveva riprendere il passo alla bersagliera dopo le due uscite romane.
La differenza con l’Inter è stata a lungo impietosa e se Handanovic non avesse respinto due tiri consecutivi di Tevez (il rimorso per gli sprechi ha condizionato l’argentino per tutto il match) già dopo 2’ i bianconeri avrebbero preso l’abbrivio verso una vittoria lucida, onesta, favorita dall’ottima prestazione degli esterni nell’occasione in cui i soliti noti (Tevez, Llorente ma anche Vidal e Pogba) si perdevano in giocatine. Suscita perplessità quel finale in affanno ma è giusto archiviarlo come un pelo nell’uovo.
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