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Libero – La cura Uefa salva la Serie A, ma adesso servono investimenti…

Francesco Parrone

Merci, monsieur Platini. Potrà sembrare un paradosso, ma la Serie A deve ringraziare il presidente dell’Uefa per il «regalo» del fair play finanziario. Questa stagione segnerà l’ultimo step della riforma prima del varo definitivo...

Merci, monsieur Platini. Potrà sembrare un paradosso, ma la Serie A deve ringraziare il presidente dell’Uefa per il «regalo» del fair play finanziario. Questa stagione segnerà l’ultimo step della riforma prima del varo definitivo nell’annata 2014/15, e la Serie A si presenta divertente e con i conti in ordine. Nel primo periodo di osservazione - il biennio 2011-2013 - il nostro calcio ha fatto bene i compiti a casa. Come le piccole abituate a far quadrare i conti, ora si comportano anche le grandi. Eclatante il caso del Milan: dagli anni d’oro dell’era Berlusconi al pareggio di bilancio (tasse escluse) in una sola stagione. La Juve ha speso tanto, ma con la crescita dei ricavi potrebbe concludere il bilancio 2013 con un sorriso. La Fiorentina compra bene e rivende a tanto come il Napoli, la Lazio non fa mai passi azzardati. E si adegueranno anche le sorelle ritardatarie: Roma e Inter.

I giallorossi a costo di cessioni pesanti (Marquinhos, Osvaldo e Lamela) stanno riequilibrando i conti. Sarà invece la vendita del club nerazzurro a Thohir a cancellare debiti e passivi delle ultime gestioni. Le nostre big, dunque, hannoinvestito bene e senza follie. In Spagna, invece, i «cannibali» Real Madrid e Barcellona tolgono ossigeno alle altre: hanno dovuto rinunciare ai loro uomini migliori Atletico (Falcao), Siviglia (Negredo e Jesus Navas), Valencia (Soldado) e Malaga (Isco), già escluso dalle coppe. In Inghilterra spendono i soliti noti - Chelsea e City - mentre il Manchester United è immobile sul mercato. Il Tottenham ride col i soldi di Bale insieme con le neopromosse - grazie alla garanzia di un paracadute milionario in caso di immediato ritorno nel Championship - ma le società di media classifica sono prudenti.

Vincente dunque il modello italiano, ma troppo fragile. Perché l’equilibrio raggiunto si regge solo grazie ai diritti tv: 950 milioni lo scorso anno, oltre unmiliardo da quest’anno. Troppo, rispetto al totale degli introiti (il 56% degli 1,6 miliardi di fatturato delle 20 di A) e soprattutto per le emittenti stesse. In vista della prossima trattativa (2015-2018), Sky e Mediaset hanno fatto capire l’intenzione di voler ridurre del 20-25% l’offerta. A meno che beIN Sport (Al Jazeera) non arrivi a stravolgere il mercato, mancheranno almeno 20 milioni di euro nelle casse dei top club. Soldi che potrebbero facilmente arrivare dall’estero: oggi la A sulle tv di tutto il mondo vale poco più di 100 milioni, la Premier League oltre un miliardo (250 milioni solo in Nord America). Spettacolo e impianti all’avanguardia i segreti di questo successo. Gli stessi ingredienti che riportano i tifosi allo stadio - per ora i 28mila abbonati in più rispetto allo scorso anno sono solo figli del mercato - e attirano gli sponsor. Appena 70 milioni di euro il totale delle 20 maglie di A: -18% e con sei marchi legati alle proprietà (il peccato rimproverato a City e Psg). I25 milioni di Aon allo United doppiano i 12 versati da Pirelli all’Inter.

Sugli stadi si può investire - anche senza leggi nuove (Juve Udinese lo insegnano) - per il bel gioco bisogna puntare sui giocatori. Anche loro saranno protagonisti nei prossimi mesi di una difficile discussione per il rinnovo del contratto collettivo. Per il «Financial Times» il fair play finanziario potrebbe essere il primo passo verso un accordo europeo in stile Nba su tetto ingaggi e scambi agevolati. Al momento gli stipendi restano la maggior voce di costo per le società di tutta Europa: il miglior dato è quello della Bundesliga che gira «solo» il 52% del proprio fatturato ai propri divi pallonari. Platini, pensaci tu.