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Libero – Moratti Presidente onorario. L’orgoglio di un uomo mai stato n° 2…

L’ultimo Moratti. Dignitosissimo. Prima serio come solo certi padri arrabbiati, poi sorridente, infine sollevato. Ci aspettavamo un colpo di scena, una mirabilia, l’apparizione del sciur Massimo che davanti ai microfoni ammette: «Non ce...

Francesco Parrone

L’ultimo Moratti. Dignitosissimo. Prima serio come solo certi padri arrabbiati, poi sorridente, infine sollevato. Ci aspettavamo un colpo di scena, una mirabilia, l’apparizione del sciur Massimo che davanti ai microfoni ammette: «Non ce l’ho fatta a lasciare, resto presidente. Anzi, compro Messi». E invece niente. Diciotto anni dopo, Massimo lascia. Sì, d’accordo, mantiene la carica di presidente onorario, ma è poca roba per uno che è abituato alle telecamere perennemente puntate: sotto gli uffici della Saras, in tribuna, sul lungomare di Forte dei Marmi durante le vacanze estive. Tutto finito. E sembra quasi impossibile. Si sfoga, Massimo: «Lascio questa società a chi ha senso di responsabilità oltre a un grandissimo rispetto verso la storia e i colori dell’Inter. Vorrete certamente bene alle persone che arriveranno». E sarà certamente così, ma ci vorrà tempo. Perché quando finisce una storia d’amore non è mai semplice, anche se si tratta di «separazione consensuale»: si pensa alle cose belle, ci si arrovella su quelle brutte, non ci si lascia mai.

Moratti senior prova a convincere gli inconsolabili, i più affezionati, i milanesi che storcono il naso quando sentono che uno è di Lodi, figuriamoci se arriva da Giacarta. Dice: «La carica di presidente onorario mi permetterà comunque di stare vicino alla squadra», ma è il primo a sapere che non sarà più la stessa cosa. Poi ammette: «Era giusto avere un socio che portasse novità». E per «novità» - diciamolo - intende denaro, tanto denaro, quello che i Moratti non possono più concedere a una semplice passione. Hanno regalato oltre un miliardo di euro ai colori nero e azzurro. Potrebbero proseguire, ché non sono improvvisamente diventati dei poveracci, ma non sarebbe più la stessa cosa. E allora meglio lasciare a chi può far brillare una squadra che ha bisogno di cavalcare idee e scavalcare frontiere: in fondo se si chiama Internazionale un motivo ci sarà.

Ancora Moratti: «L’Inter non è la squadra dei dirigenti o di una persona, è un sentimento che si trasmette ai tifosi, ai giocatori, è quello che diventa passione, ricordo. Con la certezza che ci sarà sempre un domani, e domani ci sarà un’altra partita, domani ci sarà l’Inter». E a qualcuno scende una lacrima, perché quello che è accaduto ieri è un bene per l’Inter, un bene inevitabile, ma per un momento preferiamo mettere da parte la faccenda economica, il marketing, il fatturato, gli inesistenti «più» e i tantissimi «meno» del bilancio, e ci stringiamo attorno a una famiglia che piaccia o non piaccia ha fatto la storia del calcio italiano. Ecco, se Massimo Moratti avesse vestito per davvero quella casacca nerazzurra sfoggiata ovunque ieri, ora non esisterebbe più, l’avrebbero ritirata come si fa con la maglia delle leggende. «Un presidente, c’è solo un presidente», urlavano i tifosi dell’Inter. Lo faranno ancora, anche a costo di fargli venir voglia di ricominciare daccapo.