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Nel corso di un'ampia intervista concessa a La Gazzetta dello Sport, l'ex CT dell'Italia e allenatore di Inter e Juve Marcello Lippi ha parlato così di Contee Gattuso, prima da giocatori e poi da allenatori:
«Com'erano da giocatori? Due trascinatori, in campo e negli allenamenti. Due esempi continui per i compagni. E non soltanto generosi, grintosi, aggressivi. Avevano acume tattico e aiutavano a organizzare il gioco».
Quindi si capiva che sarebbero diventati tecnici?
«Indirettamente. Con quelle doti tecniche, tattiche e umane sarebbero riusciti in qualsiasi campo avessero deciso di impegnarsi. Cosa che gli ho detto quando hanno smesso: “Vedrai che avrai successo”...».
Due ragazzi del Sud con tanta fame...
«C’è questa componente, sì. Non venivano da situazioni di sofferenza, ma avevano voglia di riuscire. Erano cresciuti con la consapevolezza di avere le armi per farlo».
Il più cattivo?
«Cattivo nessuno. Tra i primi al mondo nel loro ruolo per carattere, grinta, coraggio».
Simili ma diversi.
«Rino era più bravo in interdizione anche se non disdegnava l’impostazione. Mentre Antonio attaccava gli spazi con e senza palla, chiudeva l’azione e segnava di testa e in acrobazia».
Conte è in vantaggio nella classifica della sfortuna...
«In effetti è stato tormentato da qualche incidente. Ricordo quello nella finale Champions ‘96 a Roma: costretto a uscire nel primo tempo (al 44’ per Jugovic, ndr), si perse la possibilità di godersi quella gioia che avrebbe meritato».
Due bei ricordi?
«La loro dedizione totale, il mettersi a disposizione della squadra. Poi, be’, c’è Rino che dopo la finale di Berlino mi prende per il collo, mi strattona e mi urla “se te ne vai ti ammazzo”, convinto, dimostrandomi così il suo affetto calcistico. E c’è un episodio particolare che riguarda Antonio e Zidane».
Bei tempi.
«Antonio cerca un dribbling a centrocampo e perde la palla, mettendo in pericolo la nostra porta. Un avversario è ripartito a sinistra e si sta avvicinando. Allora Zidane comincia a rincorrerlo e, prima che entri in area, gli toglie la palla. A fine partita, Antonio viene e mi fa: “Mister, ma si rende conto che io ho perso la palla e Zidane è andato a recuperarla per me? Dovrebbe essere il contrario”. Rende l’idea di quella Juve».
Conte è uno degli allenatori top d’Europa, Gattuso…
«Gattuso lo diventerà, sta crescendo e l’ha dimostrato a Napoli. È arrivato in un momento particolare, la squadra sembrava quasi a fine ciclo, tra infortuni e situazioni difficili. L’ha recuperata con saggezza, tranquillità, coerenza e anche inflessibilità sui comportamenti. Si vede che è una squadra di Gattuso».
Qual è lo stile?
«Grande dedizione nel lavoro, non ci si perde in giocate di poca utilità, il 4-3-3, molta concretezza e coerenza. Antonio ha scelto da anni il 3-5-2 ma so che allena anche altre soluzioni tattiche».
Le somigliano?
«Mi piace pensare di sì dal punto di vista lavorativo. Gli ho trasmesso qualcosa».
Le chiedono consigli?
«Non ce n’è bisogno. Parliamo tanto. Con Conte lo facevamo spesso quando era c.t., mi raccontava le sue idee. Gattuso ero andato trovarlo a Napoli prima del virus... Ci confrontiamo, credo prendano in considerazione le mie idee».
Chi le ha dato del “tu” per primo?
«Tutti e due a fine carriera».
«Marcello»?
«No, “ciao, mister!”...».
Il più sfrontato?
«Direi Rino».
Napoli-Inter?
«Rino parte in vantaggio, 1-0 all’andata e in casa il ritorno. Però ogni giorno starà ripetendo che la partita è tutta da giocare, non ci sono vantaggi né calcoli da fare, bisogna essere aggressivi e non sbagliare... E sono sicuro che Conte stia facendo lo stesso».
Sembrano Lippi.
«Può darsi. Mi piacevano le squadre dal gioco sfrontato, coraggiose, con buona organizzazione, che si difendono con tutti i giocatori e attaccano con tanti».
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