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Intervistato da La Gazzetta dello Sport, l'ex compagno di squadra di Inzaghi e Mihajlovic ai tempi della Lazio ha parlato della loro crescita in panchina:
A posteriori: perché si poteva intuire che Simone sarebbe diventato allenatore?
«Io l’ho capito quando l’ho incrociato in panchina, lui con gli Allievi nazionali della Lazio e io della Samp. Se inizi a crescere da allenatore in un settore giovanile, ti stai già dando degli obiettivi, cerchi di capire se è quello il tuo ruolo. È stata la sua forza, accompagnata da un pizzico di fortuna: quella di poter fare il salto al momento giusto».
E Sinisa?
«L’ho ritrovato già allenatore di prima squadra: anche lui ha avuto una fortuna, poter “rubare” qualcosa a Roberto stando al suo fianco. Lavorando al Toro con lui, ho scoperto un allenatore sanguigno, che sta sempre sul pezzo e quando si crea un obiettivo lo raggiunge a tutti i costi. Un tecnico capace di entrare nel cuore della gente portando le sue idee, anche nuove: subentrava a Ventura, che aveva fatto un pezzo della storia del Toro».
Inzaghi dava già l’impressione di poter reggere il peso di obiettivi come scudetto e Champions?
«Come vedete Simone adesso, era allora. Aveva 23 anni, un “mangia Pavesini”, ma non lasciava trasparire nessuna soggezione, in una partita di biliardo come in una situazione difficile. Non sprecava energie mentali, solo fisiche, e gli scivolava tutto addosso. Così trovava il suo spazio anche se aveva davanti Mancini, Salas e Boksic. Così segnava 9 gol in Champions compreso un poker al Marsiglia e ce lo faceva pure pesare: con la mano faceva sempre il segno del 4...».
Dicevamo dell’impronta di Eriksson: in cosa?
«Di Eriksson rivedo in Simone e Sinisa, come ovviamente nel Mancio, la capacità di dialogare con i giocatori e di trasmettere loro un forte senso di appartenenza a un gruppo. Era un grande gestore, furbissimo: un maestro nel governare tutte le situazioni. Non so quanti sarebbero riusciti a far convivere tanti campioni, e tanti sudamericani».
Ma come dice Mihajlovic: «Se si arrabbiava, al massimo diventava tutto rosso e urlava “Porca miseria!”». Non proprio come Simone e Sinisa?
«Impossibile prendere anche il carattere, di Sven. Ma quando a quei due si gonfia la vena è un segno di incoraggiamento alla squadra: non li ho mai sentiti dare la colpa a uno dei loro giocatori. Nel loro vocabolario c’è solo il “noi”, non l’”io”».
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