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Luigi Prisco: “Sorpasso al Milan una goduria. Gli Zhang mi piacciono. Mio padre mi nascose…”

Intervistato da Repubblica, Luigi Prisco, figlio del mitico dirigente nerazzurro, racconta la sua passione e quella del padre per l'Inter

Gianni Pampinella

"Il primo avversario per Peppino era il milanista. Un tempo in città gli juventini non esistevano. Ce n'era forse qualcuno nelle periferie più giovani, che ammetto di non aver mai frequentato". Intervistato da Repubblica, Luigi Prisco, figlio del mitico dirigente nerazzurro, racconta la sua passione e quella del padre per l'Inter. "Chiunque sieda sulla nostra panchina per me è interista. E penso che Conte, a modo suo, lo sia diventato davvero, intimamente. Per l'accoglienza che ha ricevuto. Ma anche per come si è lasciato con la Juve. Dieci anni fa, mai sarebbe venuto all'Inter. Ma la vita cambia gli uomini e il corso delle cose. Mi piacciono anche gli Zhang, amano l'Inter, spero restino a lungo".

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Fra i giocatori chi la emoziona di più?

"Impazzisco per Barella, sintesi di Furino e Tardelli. Mi ricorda anche Matthaus. Ne ha la classe e le palle, vale a dire quella somma di grinta, corsa e attaccamento che è difficile sintetizzare altrimenti".

Questo scudetto quali altri le ricorda?

"Quello di Trapattoni, la cui Inter aveva lo spirito a questa di Conte, che però è tatticamente più raffinato. Vedo la stessa voglia di lottare, lo stesso carattere.  Tratti comuni anche a Herrera e Mourinho, a cui auguro ogni bene. Tutti accusati di schierare le squadre a catenaccio".

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Lei non è d'accordo?

"Non ha senso. Senza difesa non c'è calcio. I teorici del bel gioco li ho sempre derisi, in ogni epoca. Ricordo chi all'inizio dell'avventura interista maltrattava Trapattoni, sostenendo che addormentasse le partite. È stato forse vero per una decina di gare, poi la sua Inter è esplosa. I passaggini sono la ciliegina, la torta è l'organizzazione".

Come nacque la sua passione per l'Inter?

"Mio padre mi nascose l'esistenza delle altre squadre. Erano entità astratte, esistevano solo nella misura in cui dovevano perdere contro l'Inter. C'è solo l'Inter non è solo il titolo dell'inno del club, è la storia della mia vita. Un dogma contro cui non ho mai osato ribellarmi, nemmeno quando in adolescenza. A quindici anni ho forse messo in discussione i miei genitori, come tutti i quindicenni, mai la fede interista".

Le manca San Siro?

"Vederlo vuoto mi fa uno strano effetto. Da anni molte partite le guardo in tv, ma sono abbonamento. Un tempo non perdevo una partita importante, anche in trasferta. Ricordo con affetto la finale di coppa Uefa nel '98, con le tifoserie di Inter e Lazio unite nella festa. E la vittoria nel '65 a Torino con la Juve in campionato.  Al ritorno il casellante ci disse che il Milan aveva perso a Roma. Mio padre ripartì per Milano a razzo. Guidava una Flaminia Pininfarina, mia madre era terrorizzata. Avevamo sorpassato il Milan, Peppino festeggiò sorpassando tutti in autostrada".

Il sorpasso di quest'anno come lo ha vissuto?

"Una goduria. Anche perché il Milan non ha mai vinto uno scudetto scavalcando l'Inter. L'ipotesi che Inter e Milan possano un giorno avere uno stadio di proprietà condiviso mi spaventa. Legheremmo le nostre sorti l'una all'altra, ci troveremmo a dover gioire dei risultati positivi del Milan. Peppino, che fra sei mesi avrebbe compiuto cent'anni, sarebbe d'accordo con me. Faccio la mia proposta, che sarebbe anche sua: San Siro resti all'Inter e il Milan si faccia lo stadio a Saronno. Con tutto il rispetto per Saronno". 

(Repubblica)

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