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Malagò: “Tifo perché il calcio riprenda, ma serve un piano B. Tribunale una sconfitta per tutti”

Il presidente del Coni Giovanni Malagò ha detto la sua sulla ripresa del calcio e sulle discussioni di queste settimane sulla data

Andrea Della Sala

Intervistato da La Gazzetta dello Sport, il presidente del Coni Giovanni Malagò ha detto la sua sulla ripresa del calcio e sulle discussioni di queste settimane sulla data, sul format e sugli accordi con le tv:

Il calcio italiano non si è distinto per visione comune, unione e coerenza. Altre discipline hanno deciso cosa fare in fretta. E anche all’estero c’è stata maggiore sinergia tra politica e istituzioni calcistiche nella scelta di riprendere o chiudere i campionati.

«Ribadisco quanto vado dicendo dall’inizio del Covid 19. In Italia ci sono almeno 15 sport di squadra. A torto o a ragione tutti, nel giro di poche settimane, hanno chiuso i battenti e deciso di non assegnare gli scudetti. Il calcio, un po’ perché è un mondo a parte e un po’ per interessi economici, ha voluto continuare la sua partita e chiudere i campionati. È un suo diritto e un dovere: conosco le carte, le deleghe, l’autonomia della Figc e il rimando della Federazione alla Lega dell’organizzazione dei campionati. E dico, bene, benissimo: sono il primo a fare il tifo perché il calcio riprenda. Ma dopo pochi giorni alla parola calcio si è sostituita la parola Serie A. Dilettanti e Lega Pro, hanno capito abbastanza presto che con certe dinamiche di protocollo non erano in condizioni di riprendere. La Serie B ha votato da poco per ricominciare. Da mesi insisto: puntiamo a ripartire ma non essendo possibile fare previsioni di lunga scadenza, viste tutte le variabili esistenti, deve esistere anche un piano B. Non averlo è un errore. All’estero i campionati o li hanno chiusi oppure chi ha deciso di riaprirli o intende farlo, nel frattempo, ha messo tutto in sicurezza nel caso di un nuovo stop. Parlo di accordi con le varie componenti e con i broadcaster. Come la Bundesliga...».

Il modello tedesco sulla quarantena la convince?

«In Germania ci sono leggi diverse, un sistema sanitario diverso. I calciatori non hanno la nostra stessa dinamica giuslavoristica. Stesso discorso per i medici. Le componenti da noi fanno parte tutte del sistema federale, lì no. Un signore cinese o americano in Germania non può comprare il 51 per cento di un club. Non paragoniamo realtà diverse».

La A vorrebbe riprendere il 13 giugno, ma il governo ha bloccato tutto fino al 14...

«Se la curva dei contagi manterrà un indice basso, credo non ci sarà problema a partire un paio di giorni prima».

L’Uefa intanto ha allungato i tempi per le Coppe...

«È sempre il discorso della barca e del mare in tempesta. Devi avere più piani».

«Lo leggo, ma mi risulta che non tutti siano d’accordo. Voglio sia chiaro che il Coni ha solo interesse se il calcio, o meglio la Serie A, riesce a risolvere i problemi. Le mie non sono invasioni di campo come qualcuno le ha definite: ho un atteggiamento propositivo, non critico».

Perché in tutto questo tempo non è stato fatto nulla?

«Un piano B avrebbe richiesto di mettere intorno a un tavolo tutti i soggetti coinvolti: la Figc, la Lega di A, il Coni se ci avessero invitato, i calciatori, gli allenatori, gli arbitri, i medici sportivi, magari un rappresentate dell’Uefa, i broadcaster. Tutti in una stanza per trovare soluzioni e accordi in caso fosse impossibile ripartire o fosse necessario fermarsi di nuovo. Classifiche, tagli di stipendi, date, rate di diritti tv. Perché non è stato fatto? Certo è difficile, magari sarebbe servito stare chiusi come in certi vecchi tavoli di concertazione. Ma non saremmo oggi in una situazione dove ogni categoria difende il proprio punto di vista e non ci sono accordi».

Diritti tv: manca l’ultima rata, c’è la minaccia della Lega di andare in tribunale.

«Mi limito a dire che se finisci in tribunale si rischiano tempi lunghissimi e che alla fine restino scontenti tutti. Andare in giudizio è un diritto ma rappresenta una sconfitta del sistema».

Parliamo di taglio degli stipendi ai calciatori...

«Capisco le esigenze delle società, fossi un presidente di club cercherei anch’io di decurtare parte delle mensilità sospese, ma come affronti questo argomento se fino a metà marzo i giocatori hanno giocato, ad aprile dovevano essere a disposizione, a maggio si allenano e a giugno, luglio e agosto devono giocare? C’era la volontà da parte delle categorie di trovare un accordo, ora ognuno va a alla spicciolata: chi strappa un mese, chi due. Non c’è stata programmazione».

Il presidente dell’Aic Tommasi sostiene: siamo disposti al sacrificio, ma vogliamo sapere l’entità delle perdite dei club...

«Non fa un piega. Se avessero chiuso tutte le componenti in quella famosa stanza. Torniamo sempre lì... C’è chi ha una visione di lungo periodo e chi invece punta solo al day by day. Come nella politica: ci sono dei fuoriclasse a gestire la quotidianità ma pochi hanno programmi di respiro e molti problemi che pensi di avere risolto oggi ti si ripresentano domani».

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