- Squadra
- Calciomercato
- Coppa Italia
- Video
- Social
- Redazione
ultimora
Skysport
Matteo Marani ha analizzato il successo dell'Inter sulle colonne di Tuttosport. Il giornalista ha espresso il suo pensiero attraverso un editoriale.
"Il diciannovesimo scudetto nella storia dell’Inter è figlio della splendida ossessione di Antonio Conte. L'uomo che dieci anni fa aprì il ciclo della Juve, il più lungo della Serie A, ieri l’ha chiuso, riportando l’Inter al successo undici anni dopo il Triplete. La mistica, prima ancora che la formula, è la stessa usata al tempo a Torino: pedagogia della fatica e continuità di risultati. Sulla corsa lunga, Conte resta uno dei migliori. L’hanno aiutato l’assenza della Juventus di Pirlo, la vera alternativa, e i limiti strutturali del Milan, aggravati dagli infortuni, ma niente toglie ai meriti nerazzurri.
Conte ha vinto con la sua insistenza e con il suo corpo, spingendo i giocatori a bordo campo. Non ha corso quanto Hakimi o Barella, ma ha sudato come loro. Non ha segnato quanto Lukaku e Lautaro, ma non ha esultato di meno. Ancora sabato, a Crotone, Antonio si dannava come fosse sulla panchina dell'Arezzo, al primo giorno da allenatore. È la sua forza ed è anche il suo limite: ogni cosa la vive sulla pelle, rendendola assoluta e integrale. Non è abituale vedere un allenatore che detti ogni passaggio ai giocatori, ma è altrettanto raro vedere uno che si faccia seguire così calciatori, titolari o gregari. Forse il solo Mourinho, cui Antonio è affiancato da ieri nell’albo d’oro, aveva prodotto un impatto paragonabile nello spogliatoio nerazzurro.
L'Inter ha iniziato a vincere questo scudetto nella sfida di andata contro il Sassuolo, con il ritorno al centrocampo a cinque a protezione della difesa. Era la formula valsa la finale di Europa League ad agosto e che inspiegabilmente era sparita nelle prime 8 giornate, in cui l’Inter aveva imbarcato 13 gol, quasi due a gara. C’era stata sin lì delusione e un infruttuoso possesso palla. Da Reggio Emilia le cose sono cambiate e l’Inter ha fatto addirittura due filotti: il primo con otto successi, il secondo – di 11 gare – che ha schiantato il resto della concorrenza tra febbraio e marzo. Ha tolto lo smoking del football europeo e ha indossato il saio del calcio italiano, nessuno si senta offeso. Dopo un digiuno così lungo, contava solamente vincere, lasciando perdere i centri estetici. Con la regola dei due punti a vittoria e sulle 34 giornate del torneo 1988-89, l’Inter ha fatto 57 punti, appena uno in meno rispetto al record del Trap.
Ecco, il Trap. Conte da ieri è l’unico, con il grande Trapattoni, a vantare uno scudetto alla guida di Juventus e Inter. In bianconero ha vinto meno di Allegri e Lippi, essendosene andato via durante un ritiro estivo, ma il Ct campione del mondo ha fallito laddove Conte è riuscito. Vincere nella Milano nerazzurra non è mai facile. Alla Pinetina servono allenatori che siano grandi condottieri: Herrera, Trapattoni, Mourinho. Gente che sia insieme coach, uomo mercato, addetto stampa e giardiniere. Non è una battuta: Conte misura anche i cespugli dell’erba. In una stagione come l’ultima, in cui la proprietà è mancata, la gestione del gruppo è stato un piccolo capolavoro. Non deve essere stato semplice tenere buoni i giocatori senza stipendio e motivarli per la vittoria finale.
C’è riuscito con il suo stile spesso brusco, di certo totalizzante, per fortuna non più distruttivo come a Bergamo un anno fa, quando arrivò a un punto dal titolo e tirò giù tutto. Stavolta il titolo è suo, ci è arrivato. Due anni fa, decidendo mettere Conte al posto di Spalletti, che ha il merito di avere iniziato il percorso, Marotta fece la sua scommessa più importante, gestendo malumori e sfuriate dell’allenatore. Troppo importante l’obiettivo. Ora si deve puntare a un ciclo, alla seconda stella nerazzurra, a una Champions League affrontata con altro piglio. Ma intanto da ieri Conte è ancora di più nella storia dell’Inter e del calcio, simbolo di un decennio"
© RIPRODUZIONE RISERVATA