Tra le pagine dell'edizione odierna di Tuttosport, Matteo Marani, giornalista, ha analizzato così il cammino che ha portato l'Italia di Roberto Mancini alla finale dell'Europeo: "La lunga rinascita dell’Italia, iniziata tre anni fa, ha stasera la possibilità di rendersi più concreta a Wembley, nello stadio della leggenda, in cui la nostra Nazionale ha battuto due volte - con Capello e Zola - gli inglesi. Gli ultimi precedenti contro di loro sono confortanti, lo è invece meno la forza politica che esprime - anche sulla Uefa - Boris Johnson. Ma deve prevalere lo sport e deve contare solamente la superiorità di Barella, Jorginho e Verratti su Rice e Philips. Quello dell’Italia di Mancini è stato un cammino lungo, in salita, con un entusiasmo che è cresciuto di mese in mese, di partita in partita, ed è esploso nell’euforia generale di questo Euro 2020.
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Marani: “Ecco perché Mancini ha già vinto. E’ nel momento migliore della carriera”
L'analisi del giornalista: "La lunga rinascita dell’Italia, iniziata tre anni fa, ha stasera la possibilità di rendersi più concreta a Wembley"
Ventidue milioni di tifosi davanti al video per la semifinale contro la Spagna sono un trionfo nel trionfo, con consenso e apprezzamento che poche Nazionali hanno avuto in 111 anni di storia. L’esclusione dal Mondiale del 2018 è un’onta che resterà a lungo, ma possiamo finalmente guardare indietro tirando un sospiro di sollievo. Il ct ha sbagliato poco, quasi nulla in tre anni di incarico. Da quando venne scelto dall’allora subcommissario Costacurta, il Mancio ha attuato la sua rivoluzione silenziosa: ha aperto ai giovani, ha puntato sulla qualità del gioco, ha mediato tra esperienza e freschezza, ha unito e compattato il gruppo con una leadership serena, però al tempo stesso ferma. Si è mostrato autorevole e mai autoritario, visionario e mai velleitario.
Il prolungamento del contratto al 2026, prima che l’Europeo iniziasse, è stata l’ultima, preziosa iniezione di fiducia di Gravina. Dopo 33 partite senza sconfitte, un filotto che in oltre cento anni di storia non era riuscito a nessun altro allenatore, le cose da dire su Mancini sono rimaste poche. Ha smussato gli ultimi angoli di un carattere forte, quelli che gli affioravano talvolta in campo e nei primi anni in panchina, fra intuizioni giuste e gestione che andava perfezionata. Oggi è come se la sua maturità fosse compiuta, assoluta e distesa, con una serenità che trasmette a chi gli sta attorno.
Prima dei rigori contro la Spagna, giocatori e staff erano sorridenti. Una cosa sconosciuta alle latitudini nevrasteniche del pallone di casa nostra. Per di più, la Federcalcio gli ha consentito di avere accanto Vialli e il resto della truppa doriana. Quella Samp resta una delle squadre più amate e che quella stessa simpatia si è tinta di azzurro. Non è casuale. Mancini non è divisivo, non mostra i muscoli, il ghigno inferocito, le parole di guerra. Parla in modo moderato, sorride, è un uomo compiuto, nel momento migliore della carriera.
Il suo modello di leadership ha decretato la fine delle guide muscolari e verticali, quelle dell’uomo spietato teorizzato in tante aziende. Al rumore dei nemici ha preferito condivisione, coraggio delle idee, rispetto, dialogo e partecipazione di tutti, esaltando il talento di ciascuno e non escludendo nessuno. Ancora prima discendere in campo, questo gruppo ha già vinto per l’umanità che ha mostrato, dalla vicenda Spinazzola agli abbracci in panchina. E per questo siamo profondamente grati a Mancini", ha concluso.
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