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Intervenuto ai microfoni di Sportweek, Luca Marchegiani, ex portiere, ha messo a confronto Samir Handanovic e Gigio Donnarumma, estremi difensori di Inter e Milan: «Handanovic è un portiere fatto e finito. Ormai questo è. Negli ultimi anni è migliorato nel gioco coi piedi, ma non ha la naturalezza del gesto che possiedono i suoi colleghi spagnoli e tedeschi. Stesso discorso per Donnarumma. Però il fatto che l’interista sia cresciuto nel tempo in questo fondamentale, pur non essendo più giovane, dimostra quanto lavoro ci sia dietro; dimostra, in sintesi, la sua serietà e professionalità».
Può fare meglio in qualche altro aspetto del suo ruolo?
«Ripeto: per la sua età, Handanovic non ha margini di miglioramento tecnico. Ha raggiunto il massimo del suo potenziale. Però può dare di più nelle uscite: rispetto ai tempi dell’Udinese, si muove meno dalla porta».
Perché?
«È un atteggiamento conservativo dettato dall’età. Successe anche a me: esci meno perché da giovane sei più incosciente e ti butti di più nella mischia, ma anche perché, col passare degli anni, le botte fanno più male».
Ma alla fine chi sceglierebbe tra i due?
«Penso che Donnarumma abbia qualcosa in più sotto tutti i punti di vista. Se devo scegliere, prendo lui».
Domani sera, Inter e Milan si sfidano in una partita che, in un senso o nell’altro, a questo punto del campionato orienterà il resto della loro stagione.
«Dell’Inter mi piace la sua fisionomia: definita e riconoscibile. Ha un gioco fatto di movimenti codificati».
Proprio questo si rimprovera ai nerazzurri: una manovra d’attacco un po’ troppo essenziale, palla lunga sulle punte e poi ci pensano Lukaku e Lautaro con la loro qualità.
«Non sono d’accordo. Mi piace la rapidità con cui la squadra arma gli attaccanti, per coinvolgerli il più velocemente possibile nel gioco sfruttandone le caratteristiche. Sarebbe un limite se non esistesse un piano B in caso di bisogno. È il problema degli allenatori troppo tattici, ma non è il caso di Conte. Il problema, nel suo caso, è che la squadra arriva al derby col fiato corto».
In questo senso, il mercato è servito?
«Sì. Eriksen porta talento ed esperienza. Nessuno all’Inter ha il suo curriculum, ha una dimensione internazionale che consentirà ai compagni di crescere a loro volta. Il danese è il giocatore che voleva Conte per aumentare lo spessore della squadra».
In quale posizione lo vede?
«Mezzala. Potrebbe avere qualche problema a integrarsi immediatamente nel 3-5-2 di Conte, disegnato su movimenti precisi, codificati, appunto».
Non è ipotizzabile un suo impiego da trequartista, variando quindi lo schema base?
«Ripeto, immagino Eriksen mezzala, per aumentare la cifra tecnica del centrocampo. Al fianco, e non al posto, di Brozovic, che non toccherei nel suo ruolo di regista».
Sulle fasce sono arrivati Young e Moses.
«In quella zona di campo l’Inter non mi convinceva: Asamoah non c’è mai stato, Biraghi aveva iniziato maluccio. Nel gioco di Conte gli esterni sono fondamentali, ed è fondamentale, anche, che l’allenatore abbia possibilità di cambiare interpreti a partita in corso. Con Young, che è più di un ricambio, e Moses, ora questa possibilità ce l’ha».
«Tanto. Martinez è il vero trascinatore della squadra. È quello che garantisce imprevedibilità alle azioni, ha una cattiveria agonistica e realizzativa indispensabili. Lukaku resta fondamentale, ma Lautaro è più fantasioso. Bisogna vedere se Sanchez è finalmente a posto fisicamente, tanto da poterlo sostituire».
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