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Il duro racconto di Dario Marcolin: “Mio padre morto per il Coronavirus”

Le parole dell'ex calciatore ai microfoni del Corriere dello Sport

Daniele Vitiello

Dario Marcolin ha una storia molto brutta da raccontare. Quella della morte del padre, stroncato dal Coronavirus negli ultimi giorni. L'ex calciatore ne parla ai microfoni del Corriere dello Sport: «Gli ultimi due giorni non ha più risposto, era sensibilmente peggiorato. Chiamavamo il reparto e le risposte erano “è stabile”, “non bene”, infine “non è cosciente“. Una discesa inarrestabile. Quando abbiamo chiesto se fosse questione di ore o di giorni, ci hanno detto  “di ore”. Gianca se n’è andato in due settimane, è morto mercoledì, era entrato in ospedale, alla nuova Poliambulanza di Brescia, giovedì 12. Raccontarlo mi fa bene. Nel giro di pochissimo sono passato dal grande pieno a un vuoto immenso. Dopo che si è saputa la notizia avrò ricevuto più di mille testimonianze, tra telefonate e messaggi, dal mondo del calcio e della televisione. Ho risposto a tutti, non ho nemmeno avuto il tempo di avvertire l’assenza. Il primo a chiamare è stato Mancio, subito dopo Sinisa. Roberto e Sinisa lo conoscevano, Sinisa ha perso il padre da poco. E poi Totti, Pancaro, Favalli, Cosmi, Costacurta, Tare, Ciro Ferrara, Ferri, Adani, Peluso, Taglialatela, tifosi di Lazio e Napoli, Carolina Morace, Foroni, Bonan, quelli di Sky. Insomma, tantissima gente. È stato il tributo a Gianca che di calcio era malato".

La progressione è stata rapidissima.  

«Prima un po’ di febbre. Era un soggetto a rischio, e non solo perché aveva 75 anni. Pesava centocinquanta chili, era un omone di oltre un metro e ottanta e soffriva di ipertensione. Il virus ha trovato terreno fertilissimo. Nei primi giorni quelli dell’ospedale ci avevano suggerito di monitorarne le condizioni a casa. Al quarto giorno di febbre, 39 e mezzo, quaranta, mio fratello, che lavora nella cosmetica, si è fatto dare dalla socia la macchinetta che misura la saturazione dell’ossigeno nel sangue. Il valore minimo è 92, mio padre aveva 78. Quando l’abbiamo comunicato all’ospedale sono andati a prenderlo immediatamente». 

Riuscivate comunque a sentirlo?  

«Aveva con sé il cellulare. Sì, lo sentivamo con una certa frequenza, si toglieva la mascherina di Venturi, quella per l’ossigenazione, e ci parlava. Pian piano le telefonate si sono diradate e accorciate. Dopo trenta secondi non ce la faceva più. Quando è peggiorato sono ricorsi alla morfina sottocutanea, non accettava la maschera, quella che volgarmente chiamano da palombaro, Non la tollerava proprio. Diceva che un minuto con quell’aggeggio sembra un anno. Eravamo preparati al peggio. Ma il peggio non è mai come te lo immagini. Io ero andato a trovarlo a casa a inizio febbraio, non avrò nemmeno la possibilità di dargli un bacio sulla fronte. Nelle nostre stesse condizioni si trovano tutti quelli che hanno perso qualcuno che amavano. Non incolpo nessuno, non è una situazione normale quella che stiamo vivendo. E Gianca era così solare…».

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