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L’anno scorso da parte degli arbitri c’è stato qualche errore di troppo. Hanno inciso le lotte di potere interne all’Aia, divisa fra troppe correnti politiche e interessi di bottega? Hanno tolto serenità a chi va in campo?
—«Personalmente spero di no. Per arbitrare in serie A bisogna saper lasciare fuori tutto. Anche la sfera associativa. Quando arbitri, il campo è l’unica cosa che conta».
A 43 anni è uno dei senatori, visto che il ricambio generazionale ha abbassato l’età media. Qual è il suo obiettivo personale?
—«Arbitrare di più in Europa. E chiudere alla grande, al livello più alto, come Orsato».
Cosa la fa arrabbiare di più in un calciatore?
—«Quando mente. Oggi, con cento telecamere ti beccano subito. Non stai provando a fregare me, ma tutti».
Un giorno gli arbitri parleranno a fine partita?
—«Per me sarebbe giusto. Non abbiamo nulla da nascondere. Io non avrei problemi, ma non siamo tutti uguali. Occorre il contesto giusto, dove non si cerca la polemica, ma un dialogo costruttivo».
Lei è stato il primo a fischiare un rigore con la Var. Com’è cambiato il calcio con la tecnologia?
—«In meglio. E fra 5 anni sarà ancora meglio, perché la tecnologia avanza. Ma non deve mai snaturare il gioco, solo aiutare a evitare errori».
I giocatori dicono che il problema degli arbitri è che non hanno mai giocato.
—«Hanno ragione. Aver giocato almeno un po’ è fondamentale. Ma loro non hanno mai arbitrato. E vi garantisco che è difficile uguale».
(Corriere della Sera)
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